Tra scienza e fede. Una contraddizione da superare?

I progressi della scienza, che seguono ormai un ritmo quotidiano, sembrano costituire per molti la conferma di una difficoltà «oggettiva» della fede. In un mondo di scettici ogni scoperta scientifica, al di là di ciò che dimostra, sembra costituire la prova inconfutabile che rintracciare la presenza di D-o può essere un passatempo per pochi. Sottolineare la contraddizione tra scienza e fede finisce insomma per essere sempre un vantaggio per la prima.
Ma perché mai la contraddizione dovrebbe essere superata? È nella logica della filosofia occidentale, da Aristotele a Hegel, che il superamento appare indispensabile. Non nell’ebraismo. Un errore che molti commettono è quello di pensare che «religione» abbia lo stesso significato nel contesto cristiano e in quello ebraico. Non è così. La religione nel contesto ebraico rinvia al suo significato etimologico (da «religare», perciò «legare»), vale a dire ai molteplici e fecondi legami con una tradizione. L’ebraismo è anzitutto una forma di vita che si produce sulla base della tradizione.
In questa forma di vita non è necessario trovare una unità. Anzi è «obbligatorio immergersi nella contraddizione» – osserva Adin Steinsaltz nel suo suggestivo libro «La rosa dai tredici petali. Un incontro con la mistica ebraica» (Giuntina, Firenze 2000). È probabilmente la prassi dell’ermeneutica talmudica a suggerire a Steinsaltz un vero e proprio elogio della contraddizione che non è una empasse, ma è piuttosto il «varco tra un mondo e l’altro». La contraddizione è dunque apertura, è «oscillazione ritmica» che vieta di restare fermi allo studio oppure alla devozione, all’attività intellettuale che si dispiega nel dubbio oppure alla semplicità rigorosa della preghiera. Di più: l’ebraismo sta per Steinsaltz proprio nel percorso incessante tra lo studio e il giusto operare.
La contraddizione è dunque indispensabile. «Le scritture ebraiche – scrive – sono piene di questa contraddizione, nel loro acuto sottolineare il più piccolo dettaglio, nella loro sublime consapevolezza delle verità più elevate e onnicomprensive, nella loro prontezza nel mettere in discussione tutto, come anche ad accettare tutto senza discutere». È sapendo dimorare nella contraddizione che ci si può elevare alla forma di vita ebraica.

Donatella Di Cesare, filosofa