Barzellette
In ogni democrazia occidentale il senatore del «Popolo della libertà» Giuseppe Ciarrapico si sarebbe già dimesso dopo le parole pronunciate nell’aula del Senato il 30 settembre. Per definire «rinnegati» i finiani, Ciarrapico si è servito della metafora della kippah, ha attinto cioè al vecchio, ma non logoro, stereotipo antisemita secondo cui l’ebreo è Giuda il traditore. Stereotipo gravissimo dopo Auschwitz e dopo il Concilio Vaticano II.
Questo dovrebbe costituire un problema per chi gli siede accanto, nello stesso partito, e difende Israele. Come si può sorvolare sull’odio antiebraico, convinto ed esplicito, assumendo che questo odio sia bilanciato da una millantata amicizia per Israele?
L’altro risvolto del doppiopetto della destra italiana è venuto fuori nella posizione del premier che, per ovviare all’«incidente» di Ciarrapico, si è affrettato a riaffermare la sua «amicizia» per Israele. Ma qualche ora prima si era lasciato andare raccontando in privato una barzelletta sulla Shoah – un’offesa inaudita per la memoria di milioni di vittime – che termina con queste parole: «pensi che glielo dobbiamo dire che Hitler è morto e che la guerra è finita?».
C’è chi avanza due giustificazioni, entrambi insostenibili e inaccettabili: la prima è la tesi della separazione tra morale privata e morale pubblica (l’ebraismo è il modello opposto); la seconda è che le barzellette non vanno prese sul serio e che le parole vanno e vengono, si relativizzano a seconda del contesto, e si possono in certo modo ritirare quando fa comodo.
Non è così. Le parole hanno uno spessore e un effetto; perciò non sono seconde ai fatti. Lo dice il mondo della comunicazione in cui viviamo. In nessuna democrazia occidentale un Primo ministro si permetterebbe nel 2010 barzellette come quella sugli ebrei e la Shoah.
Non è facile credere che chi parla in questo modo possa essere un paladino di Israele. Potrebbe invece esserlo per convenienza. E sarebbe allora una beffa rischiosa. Perché un lasciapassare farebbe comodo a una destra antisemita, xenofoba, sguaiata e violenta. E potrebbero cadere nell’oblio tutte le colpe che il fascismo ha avuto nel passato dell’Italia e dell’Europa.
C’è nella destra italiana chi, come Fini e il gruppo di «Futuro e libertà» ha scelto un altro cammino, un ripensamento critico – che deve essere riconosciuto. Ma altri fanno emergere una inquietante continuità con il fascismo, quello che ha proclamato le leggi razziste del 1938. E il fascismo italiano – bisogna ricordarlo – deve ancora rispondere dei suoi crimini davanti al tribunale della Storia.
Donatella Di Cesare, filosofa