Condividere il dolore
Il sindaco Roberto Cenni non proclama il lutto cittadino per le tre donne cinesi (tra cui una bimba) morte a Prato in un sottopassaggio allagato, prigioniere della loro utilitaria e spirate in un modo che è difficile immaginare più angoscioso, probabilmente causato dalla tracimazione di un torrente e dal guasto di una pompa idrovora.
La realtà pratese è assai particolare: come racconta lo scrittore Edoardo Nesi («Storia della mia gente») il tessuto sociale e produttivo è stato sconvolto negli anni dall’afflusso di imprenditori e operai cinesi, che hanno di fatto soppiantato gli italiani in questo importantissimo distretto del tessile. Lo scorso anno è stato eletto un sindaco di centro-destra per la prima volta dal Dopoguerra, e si registrano molti sintomi di frustrazione, rabbia, insofferenza nei confronti dell’enorme comunità cinese.
Il tema è stato sollevato dal punto di vista economico e politico, apparentemente senza grandi risultati: il ricorso alla manodopera illegale, i vantaggi nell’importazione delle materie prime, una spiccata vocazione all’autosufficienza, hanno reso i cinesi una minaccia seria per i cittadini di Prato. Dunque bene hanno fatto le autorità locali e nazionali a porre questa questione con forza ai loro omologhi cinesi e all’attenzione pubblica italiana.
Ma proprio per rendere questa battaglia credibile sarebbe stato necessario il lutto cittadino: nel ribadire che servono regole certe e condivise, occorre riaffermare ciò che sostanzia una comunità cittadina: il dolore di tutti per la perdita ingiusta e assurda – causata anche da disservizi imputabili all’Amministrazione – di tre membri della comunità, di tre donne innocenti. La politica non è un atto notarile, e dunque la spiegazione «…altrimenti dovremmo proclamarlo sempre!» non può convincere. Senza un po’ di umanità qualunque sforzo di regolamentazione è destinato a fallire.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas