Fronteggiare il negazionita
Il caso della lezione tenuta dal professore Claudio Moffa lo scorso 25 settembre presso l’Università di Teramo, nella quale si è illustrata con dovizia di argomentazioni pseudo-scientifiche la tesi della Shoah come invenzione e leggenda, solleva nuovamente il problema della possibile risposta legale al negazionismo.
In Italia, com’è noto, la negazione della Shoah non costituisce, di per sé, una forma di reato, diversamente da quanto avviene in altri Paesi, come Inghilterra, Austria o Germania. Sull’opportunità dell’introduzione, anche da noi, di una siffatta fattispecie criminosa le opinioni sono divergenti e, tutto sommato, le riserve riguardo a una tale riforma normativa appaiono consistenti. Chiariamo subito che la libertà di pensiero e di ricerca, in questa materia, non c’entra assolutamente nulla. Anche un bambino capisce la differenza tra negare l’esistenza del Colosseo e contestare la storicità della Shoah. Nel primo caso, si è semplicemente detta una fesseria, nel secondo, si è inteso deliberatamente oltraggiare la memoria delle vittime, e si è voluto evidentemente fomentare il ripetersi di atti di violenza e sopraffazione. Gli ebrei si possono anche ammazzare, perché, qualora succeda, è come se non fosse avvenuto: questo è il messaggio. In tal senso, riterrei che già la legislazione italiana vigente contro l’istigazione all’odio razziale giustificherebbe un procedimento penale contro il professore Moffa, perché appunto di questo si tratta, e non di altro.
Però, inutile negarlo, tale strada potrebbe rivelarsi di difficile percorribilità, oltre che di dubbia opportunità, e non solo per la possibile incertezza del dato normativo, ma in quanto anche un eventuale esito di condanna potrebbe apparire addirittura controproducente, risolvendosi in una grande pubblicità gratuita per il condannato, che darebbe certamente fiato alle trombe della negata libertà d’espressione, trovando – c’è da giurarci – non poca solidarietà. Molte volte abbiamo visto degli oscuri personaggi diventare delle specie di eroi, almeno in alcuni ambienti, per avere trascorso qualche ora al fresco.
Resterebbe da invocare una risposta da parte delle Autorità accademiche, e bisogna dare atto al Magnifico Rettore dell’Università abruzzese, Rita Tranquilli Leali, di essersi subito attivamente interessata alla vicenda, così come tempestivo fu l’intervento del precedente rettore, Mauro Mattioli, per impedire che , il 18 maggio del 2007, lo stesso Moffa facesse parlare nell’Università il suo maestro negazionista Faurisson. Anche in questo caso, però, si sa, le autorità accademiche possono fare piuttosto poco – per esempio sul piano disciplinare -, ed è anche vero che c’è sempre il rischio di creare precedenti pericolosi. Moffa non è certo l’unico a dire scempiaggini in aule universitarie, come si fa a intervenire sempre? E in base a quale criterio? E se un giorno uno come Moffa fosse chiamato lui stesso, per esempio come Rettore (in effetti si candidò ala carica, in passato, ed ebbe anche qualche voto), a vigilare sui contenuti delle lezioni dei suoi colleghi?
Niente da fare, dunque? Forse una strada ci sarebbe. Quella di Teramo è una sede prestigiosa, che vanta punte di eccellenze, per esempio, negli studi giuridici, politologici, di scienza dello sport (vi hanno tenuto Cattedra, solo negli ultimi anni, nomi del calibro di Michele Ainis, Franco Amarelli, Filippo Mazzonis, Luciano Russi, e tanti altri studiosi di prestigio internazionale). Perché deve essere periodicamente messa alla berlina come l’“Ateneo del negazionista”? Non potrebbe, l’Università, intentare una causa civile per danni all’immagine, chiedendo un risarcimento economico al dipendente che ne infanghi la reputazione? Se qualcuno potrebbe, forse, gradire un rapido passaggio per le patrie galere, nessuno ama mai essere colpito nel proprio portafoglio. Può essere un utile suggerimento.
Francesco Lucrezi, storico