Condividere la cultura, un programma che fa la differenza
I beni, i possessi e le proprietà, se divisi, si riducono. La divisione della ricchezza rende inevitabilmente più poveri. Ma ci sono beni che non diminuiscono per il fatto di essere divisi, beni che, se condivisi, aumentano, si sviluppano. Sono i beni della cultura che non possono essere misurati attraverso i metri del profitto e quantificati attraverso i numeri del mercato. Perché il plusvalore della cultura è il sublime del senza prezzo che fa saltare la logica dell’economia. Chi con-divide i beni della cultura partecipa al grande dialogo della tradizione fornendo un proprio contributo e insieme formandosi.
Come si distingue il colto dall’incolto? Chi si abbandona alla propria particolarità, chi non sa prescindere da sé, chi non sa distanziarsi dalla propria immediatezza, è incolto. Perché non sa elevarsi al punto di vista della comunità da cui osservare se stesso in modo nuovo e diverso. Cultura è quel distacco da sé che consente di guardare le cose dal punto di vista dell’altro e che rende possibile la partecipazione alla comunità.
I programmi di politica culturale per le comunità ebraiche di oggi e di domani dovrebbero allora difendere e promuovere in ogni modo i corsi di studi ebraici. Non denunciarli o puntare addirittura alla cancellazione. Ovunque in Europa, a Parigi e a Berlino, i corsi di studi ebraici sono in difficoltà – non solo numeriche. Alla «Alliance Israélite» di Parigi non ci sono più di due o tre iscritti per corso. Proprio per questo lo Jüdischer Zentralrat, il «Consiglio ebraico» delle comunità tedesche, che dal dopoguerra ha lavorato in condizioni di estreme difficoltà, ricostruendo sulle ceneri dei roghi dei libri, ha investito somme ingenti ed energie inimmaginabili per sostenere la cultura ebraica.
Bisognerebbe allora giudicare e valutare bene il programma complessivo delle parti politiche proprio attraverso il modo in cui viene trattato il tema della cultura che è poi il fondamento della comunità. Quelle parti politiche che non sono propositive, ma anzi distruttive, non mirano evidentemente al bene condiviso e inalienabile della comunità e alla sua sopravvivenza.
Donatella di Cesare, filosofa