Le sfide di Israele e il nuovo antisemitismo
“Le sfide di Israele. Lo Stato ponte tra Occidente e Oriente”, questo il titolo dell’ultimo libro del professore David Meghnagi, direttore del Master internazionale di secondo livello in didattica della Shoah, presentato alla Camera dei deputati, nella Sala delle Colonne.
Relatori del convegno organizzato per l’occasione sono stati, oltre all’autore del volume, la professoressa Dina Porat, dell’Università di Tel Aviv nonché direttrice dell’istituto Stephen Ruth, che studia l’antisemitismo e il razzismo contemporanei, e il professore Govanni Sabbatucci, insegnante di Storia contemporanea all’Università La Sapienza di Roma. A coordinare gli interventi l’onorevole Fiamma Nirenstein, vicepresidente della Commissione Affari Esteri della Camera.
La presentazione del libro è stata l’occasione anche per porre l’accento sul nuovo antisemitismo il cui soggetto è Israele.
“Perché l’antisemitismo è come un mostro multiforme che si modifica e trasforma nel corso del tempo ma non scompare”, così la Nirenstein, nel presentare gli interventi ha definito l’argomento di studio.
“Sono molti i libri che parlano di Israele ma quello che presentiamo oggi è diverso. E’ diverso perché è il libro di David”, con queste parole l’onorevole ha aperto le considerazioni sulla nuova pubblicazione. “Di David – ha spiegato – sta a significare che l’autore attraverso la sua storia vissuta, racconta di Israele e del conflitto Mediorientale. Con un occhio interiore, da ebreo, che è dovuto fuggire a causa delle persecuzioni in Libia, quindi un ebreo diasporico, ma anche con una forte vicinanza a Israele, viste le sue conoscenze e le frequentazioni dovute anche a motivi familiari. Un ebreo che conosce l’arabo e l’ebraico. David è un uomo pratico, guarda alle cose nella sua cruda realtà ma sul conflitto nonostante tutto nutre ancora una speranza, che definirei necessaria visto che rispecchia la sua storia personale e anche un po’ il suo stesso conflitto interiore fra mondo arabo e israeliano. Quello di cui stiamo parlando non è un libro che tratta di politica, ma un libro che cela esperienze vissute”.
“Non è un libro dove trovare delle risposte, dove trovare una soluzione al conflitto, è un libro che stimola la riflessione”, ha affermato dal canto suo il professore Sabbatucci. E proprio sulle tante domande scaturite dalla lettura del libro si concentra il professore de’ La Sapienza: “Le sfide di Israele. Lo Stato ponte tra Occidente e Oriente pone domande che tutti dovrebbero porsi. Non è un libro di storia. Non segue infatti quel filo sistematico caratteristico di tali volumi bensì è un aiuto a riflettere su Israele e la sua storia”. “Perché Israele, a più di sessant’anni dalla sua nascita è l’unico Stato che deve ancora giustificare non le sue scelte politiche ma la sua esistenza”?, “Perché Israele se affronta una guerra sa di giocarsi tutto mentre i suoi avversari non dovrebbero giocarsi nulla”?, “Perché i verdetti della Seconda guerra mondiale, definitivi e irrevocabili ovunque, non lo sono in Medio Oriente”?, “Perché la nascita di Israele è percepita come ultima coda del colonialismo quando in realtà alla nascita fu percepita come esempio di anticolonialismo”?. Questi sono solo alcuni degli spunti di riflessioni proposti da Sabbatucci, che conclude il suo intervento con questa domanda: “Perché Israele nato con la vocazione a essere ponte fra Occidente e Oriente, in realtà si è trasformato in una ‘Testa di ponte’, per riprende il gergo militare (ultimo avamposto oltre le linee nemiche)”?.
Dina Porat invece concentra il suo intervento sulla storia del nuovo antisemitismo, formatosi negli ultimi dieci anni, un antisemitismo che nasce da una serie di false associazioni, a partire da quella che vede l’ebreo identificato con l’israeliano, senza alcuna distinzione. Un antisemitismo che propagato da una parte del mondo islamico, quello più estremista, viene raccolto dalle fazioni politiche di estrema sinistra dell’Europa occidentale e del Nord America, che sono anti-americane, perciò vicine alle posizioni islamiche, e se uno è anti-americano è quindi per loro necessariamente anti-israliano”. Fra le varie altre considerazioni fatte dalla professoressa israealiana la spiegazione di come non sia il negazionismo a fare paura: “Grazie anche ai Paesi che ritengono questo un reato i negazionisti possono essere processati ma cosa ben più grave oggi è la banalizzazione della Shoah, la trasposizione di alcuni concetti, che fa comodo a molti, forse per ripulire la propria immagine dagli errori storici, che forzano l’associazione dell’ebreo al nazista, anche in questo consiste il nuovo antisemitismo”. “La Shoah quindi non ha fatto scomparire l’antisemitismo ma gli ha dato una nuova forma”. La professoressa Porat conclude con una nota di speranza: “Ci sono già nel mondo intellettuali e politici che hanno ottimi rapporti con Israele ma bisogna analizzare i recenti sviluppi dell’antisemitismo e combatterli per cambiare le cose”.
David Meghnagi ha preso per ultimo la parola e dopo aver spiegato quanto sia difficile scrivere un libro sul Medio Oriente visto che “le parole che ruotano attorno a questo mondo sono malate” spiega al pubblico l’intento del suo libro: “Analizzare queste parole malate”. “Il mio pensiero da analista – ha spiegato – è che le parole possono guarire le persone”. Meghnagi ha poi proseguito definendo Israele come “un’isola accerchiata da un oceano arabo e islamico che vorrebbe sommergerlo e non un ponte”, come il titolo del suo scritto vorrebbe far credere “Ma io – tiene a precisare – non ho smesso di sognare, proprio come lo Stato d’Israele, la cui sopravvivenza è legata alla speranza di un futuro migliore. La forza dello Stato israeliano consiste proprio in questo: nell’immaginare un futuro diverso. Finché tiene la visione futura l’angoscia del popolo israeliano resterà in secondo piano e non prenderà il sopravvento. Israele sopravvivrà solo se i suoi cittadini continueranno a sperare. Ci vorrà molto tempo prima che si raggiunga la pace e per far questo Israele deve rafforzare politicamente le amicizie e aprirsi al mondo arabo, che non avrebbe vita senza Israele. Se Israele smettesse di esistere il mondo arabo continuerebbe a combattere al suo interno. Dal canto suo lo Stato israeliano è condannato a vincere sempre perché se perdesse sarebbe destinato alla scomparsa”.
Sull’angoscia degli israeliani ha ripreso la parola la professoressa Porat rafforzando le parole di Meghnagi: “Da cittadina israeliana confermo che la mia città è una città vibrante, vedo nel mio popolo la voglia di vivere”. Ma su un aspetto corregge Meghnagi “Israele non è un’isola perché in Israele è forte il sentimento di far parte del mondo, con i suoi scrittori tradotti in tutte le lingue, le invenzioni mediche e tecnologiche”. Fiamma Nirenstein chiude il convegno e la presentazione del libro menzionando l’ultimo sondaggio promosso dalla radio israeliana: “In Israele l’80 per cento dei cittadini si dice soddisfatto della sua vita – fa notare l’onorevole – proprio mentre Ahmadinejad scrutava i confini inneggiando alla violenza verso lo Stato israeliano”.
Valerio Mieli