Legge e negazionismo, “Perché bisogna punire”

Nell’apprestarmi ad affrontare questo argomento, difficilmente riesco a liberare La mia mente da quell’assordante “silenzio” di mia nonna, Marisa Di Porto, deportata ad Auschwitz il 23 marzo del 1943 (A5361) e che qualcuno, con “impavida” serenità, vuol far credere che abbia vissuto per diversi mesi in un “villaggio vacanze”.
La proposta di introdurre anche in Italia il reato di “negazionismo”- è voluta, come appresso si vedrà, la decisione quadro del Consiglio d’Europa 2008/913/GAI (GU L.328 del 6.12.2008), sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale, ha aperto in seno al mondo ebraico, e non solo, un forte dibattito sull’opportunità o meno di una legge di tale portata.
Alcuni, ritengono che, come si è potuto leggere sui giornali e sul Portale dell’ebraismo italiano moked.it nei giorni scorsi, “penalizzare il negazionismo non può essere la soluzione dei problemi. Non fosse altro perché il negazionismo è un male sociale e culturale. Va dunque affrontato con anticorpi culturali e sociali, non attraverso la repressione giudiziaria”. “Si rischierebbe di farne (i negazionisti) dei martiri della libertà di pensiero”.
A mio avviso questa retorica sprovveduta non è altro che un artificio ipocrita con cui un certo ebraismo è da sempre incline ad approcciare alcune tematiche di rilevanza concreta, volendo dimostrare di essere sempre “migliore” degli altri.
Sull’argomento vanno sottolineati due aspetti dai quali non si può prescindere se non si vuol essere, per l’appunto, retorici: il primo è relativo alla definizione stessa di negazionismo; il secondo accede alle implicazioni pericolose che questo fenomeno produce sull’esistenza stessa del popolo ebraico come “nazione”.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la negazione della Shoah deve essere definita come una forma di propaganda antisemita che nega l’evidenza dei fatti storici per fini ideologici e politici. Infatti, la ragione predominante dell’antisemitismo contemporaneo è ancora quella di una cospirazione ebraica. Non nuovi sono gli assunti secondo cui gli ebrei controllerebbero tutto ciò che accade nel mondo, o tramite la loro potenza finanziaria o tramite i media, condizionando in maniera occulta la politica internazionale. Qui la negazione della Shoah gioca un ruolo cruciale. Si presume che la Shoah non abbia mai avuto luogo a che l’ala ebraica, sfruttando lo status di vittime, utilizzi la “menzogna di Auschwitz” per esercitare una pressione morale sui principali governi europei per ottenere lauti risarcimenti o politiche di favore agli interessi del “gruppo”.
Quindi, il negazionismo non è altro che una forma più o meno “mascherata” di antisemitismo. A questo punto si potrebbe obiettare che l’ordinamento nazionale già prevede delle norme che sanzionano chi diffonde o incita in qualsiasi modo a commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (vedasi la L.654/1975 di Ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale di New York sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, ovvero, la più nota “legge Mancino” – L. 65/1993 – entrambe modificate dalla più recente L. 85/2006 del Governo Berlusconi). In realtà, nessuna di queste norme potrebbe essere applicata per chi, proteggendosi dietro lo schermo della ricerca storiografica (guai al dare degli antisemiti a personaggi come Claudio Moffa o Carlo Mattogno, si rischierebbe una querela per diffamazione!) propugni tesi ed idee il cui fine ultimo e reale non è solo quello discriminatorio ma quello ben più grave di delegittimazione di un intero popolo.
Quanto al secondo aspetto, che si ricongiunge al primo, non possiamo non evidenziare come la “menzogna di Auschwitz” metta in discussione il diritto di Israele ad esistere. Qui ha avuto luogo un processo cognitivo, nel quale il pensiero “negazionista”, propagandato da pseudo intellettuali europei è stato adottato da molte realtà islamiche. L’influenza di queste idee è supportata da un numero di confutatori occidentali dell’Olocausto, quali Jurgen Graf, Gerd Honsiik, Wolfgang Frohlich e Roger Graudy, che sono stati accolti come eroi in molti paesi del Medio Oriente. Tutto ciò per dire che negando la Shoah, che per molti è ancora l’elemento di legittimazione dello stato di Israele, si può essere “legittimati” a programmarne la distruzione reale, così come ribadito con cadenza quasi quotidiana da Mahmud Ahmadinejad.
Purtroppo, la diffusione delle idee negazioniste nelle scuole coraniche e nelle moschee, così come la diffusione dei Protocolli degli Anziani di Sion, si muovono nella stessa direzione: gli ebrei sono in perenne complotto per la conquista del mondo e la Shoah è una loro invenzione.
Non si comprende, quindi, perché una legge sul negazionismo, debba essere considerata dai soliti “ben pensanti” una legge liberticida, esclusivamente tesa a limitare la libertà di espressione del pensiero. Il negazionismo, come detto, non è ricerca scientifica e non ha nulla a che fare con l’analisi storica, questa ultima da ritenersi insostituibile e necessaria per approfondire tutti gli aspetti della Shoah nel contesto socio-culturale in cui si è realizzata.
Per questi motivi ritengo che le condotte dei negazionisti non debbano trovare alcuna forma di legittimazione in ragione di un presunto esercizio del diritto alla libera espressione del pensiero, e ciò non solo quando sia evidente la strumentalità ideologica dell’apparente critica storiografica ufficiale, ma anche in quei casi, e soprattutto in quei casi, in cui sia immediatamente manifesta la finalità di propaganda antisemita.
In tal senso si è pronunciata la Corte Europea dei diritti dell’Uomo (sez. IV, 24/06/2003 – Roger Garaudy c. Francia – in Giur. It., 2005, 2241), secondo la quale “è irricevibile il ricorso di un cittadino che lamenta la lesione del proprio diritto di espressione a causa della condanna penale inflittagli dalle autorità nazionali per aver manifestato opinioni negazioniste della Shoah. Tale condotta, sostiene la Corte, integra un abuso del diritto di espressione previsto dall’art.10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, giacché, sostenendo la negazione o la revisione dei fatti storici definitivamente stabiliti, si rimettono in causa i valori che fondano la lotta contro il razzismo e l’antisemitismo e ciò comporta un pericolo per l’ordine pubblico. Conseguentemente, il suo perseguimento da parte della legislazione nazionale costituisce un’ingerenza legittima ed una misura necessaria in una società democratica”.
Da ciò ne discende che il diritto alla libera manifestazione del pensiero, tutelato dall’art. 21 della Costituzione, non giustifica comportamenti che, pur esternando convinzioni personali, ledano altri principi di rilevanza costituzionale. Pertanto, dal momento che le norme per la repressione delle forme di discriminazione razziale sono in attuazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Carta Costituzionale, le eventuali limitazioni ad esse imposte, risulterebbero ampiamente giustificate.
Si evidenzia in ultimo, come il Consiglio d’Europa il 28 novembre 2008, ha adottato la Decisione quadro 2008/913/GAI (GU L. 328 del 6.12.2008), che fa seguito all’azione comune 96/443/GAI, sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale. Tale Decisione prevede che i comportamenti razzisti e xenofobi debbano costituire un reato in tutti gli Stati membri ed essere passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive. Tra le condotte considerate punibili, in quanto reati penali, determinanti atti commessi con intento razzista o xenofobo, la Decisione, esplicitamente vi fa rientrare “la pubblica apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio o contro l’umanità, i crimini di guerra, quali sono definiti nello Statuto della Corte penale internazionale (articoli 6, 7 e 8) e i crimini di cui all’articolo 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro”. Detta decisione dovrà essere trasposta negli Stati membri, tra cui l’Italia, entro la data del 28 novembre 2010.
Auspico che l’Italia non perda questa occasione per mettersi al pari di Austria, Francia, Germania e Belgio nel recepire e adottare una normativa che in modo organico reprima qualsiasi atto teso all’istigazione e/o alla violenza per ragioni culturali, sociali, etniche, religiose, sessuali, anche quando gli stessi atti vengono attuati mediante la negazione o la minimizzazione dei crimini di genocidio.

Joseph Di Porto, avvocato