lontani e vicini…

La radicalità con cui Avrahàm decide di separarsi dal suo amato nipote Lot (Genesi; 13,9 ) ci lascia in verità piuttosto perplessi. Proprio l’accogliente Avrahàm, colui che più di ogni altro lancia il progetto fratellanza con ogni individuo, si mostra assai risoluto nei confronti del suo consanguineo che privilegia un modello di vita diverso dal suo anteponendo la dimensione dell’avere allo sviluppo dell’essere indicatogli dal Maestro. Lot infatti è il paradigma di colui che indugia, vaitmamà (Genesi; 19, 16 e che non riesce a raggiungere la dimensione del procedere – camminare, lech lechà (Genesi; 12, 1) che caratterizza Avraham. Il distacco tuttavia è senza pathos, ma anche senza alcuna condanna, Avrahàm sembra non perseguire alcun tentativo di riunificazione. Non possono esserci compromessi e accomodamenti quando le scelte di vita divengono inconciliabili. E’ altrettanto vero però, come scriveva rav Carucci Viterbi, che quando Lot, il discepolo che si allontana, diviene “prigioniero” dei nemici della Torah, Avrahàm mette in gioco se stesso e la sua scuola per andare a liberarlo. Avrahàm, il primo educatore della storia ebraica, ci fa capire che perfino in un assimilato come Lot si trova quella scintilla di kedushà da cui discenderà Rùth, la madre del Mashiakh. Non c’è persona più lontana di una persona vicina che si allontana, ma non c’e’ persona più vicina di una persona lontana che si avvicina.

Roberto Della Rocca, rabbino