E anche Halter torna alla città magica

Ogni tanto gli eventi s’intrecciano in coincidenze stravaganti. É il caso di due romanzi, Il Cimitero di Praga di Umberto Eco e Le kabbaliste de Prague di Marek Halter – il primo in uscita a fine ottobre in Italia, il secondo pubblicato in Francia all’inizio del mese – che, con tempismo straordinario, si incrociano fra profonde differenze e sovrapposizioni di scenari e atmosfere.
Se il nuovo lavoro di Eco percorre l’Europa dell’Ottocento inseguendo la figura del falsario Simonini tra congiure, rivolte e sollevazioni, la narrazione del romanziere francese d’origini polacche risale alla fine del Cinquecento per rivisitare la vicenda del Golem sullo sfondo delle grandi scoperte scientifiche del tempo e delle guerre di religione. Epoche diverse per due romanzi dedicati a questioni d’interesse cruciale per il mondo ebraico, l’antisemitismo e i suoi falsi e il potere inquietante della mistica, che rimandano entrambi al cuore della città magica. Dove si trova uno dei più antichi cimiteri ebraici d’Europa e dove ancora oggi, all’ingresso del ghetto, si erge una statua che né i nazisti né i sovietici hanno avuto il coraggio di distruggere. Quella di Rabbi Loew, il Maharal, che per difendere il suo popolo riuscì a dare la vita a una manciata di fango, il Golem, che nelle pagine di Marek Halter trova dimensioni diverse dal consueto L’autore, nato in Polonia da una famiglia ebraica, evaso con i genitori dal ghetto di Varsavia, instancabile animatore d’iniziative per la pace in Medio Oriente, non è nuovo alla ricostruzione storica. Basti pensare ad Abraham, la sua opera di maggiore successo, in cui ripercorre le vicende di una famiglia dall’anno 70, quando lo scriba Abraham fugge da Gerusalemme, ai giorni nostri in cui l’ultimo scriba, lo stesso Halter, ne rievoca la storia. O a La regina di Saba, romanzo pubblicato quest’anno in Italia (Spirali edizioni) che narra l’amore di Salomone per la bella regnante dalla pelle nera. In Le kabbaliste de Prague si percepisce, con forza particolare, la familiarità dello scrittore con il mondo che genera il Golem.
A guidare il lettore in questo viaggio nel tempo, che mescola fiction e realtà, è David Gans. Pensatore, matematico e astronomo ebreo, nato nel 1541 e morto nel 1613, seppellito nel cimitero di Praga, Gans è fra i primi intellettuali dell’epoca a menzionare il lavoro di Copernico, è allievo del celebre Tycho Brahe, amico di Galileo e di Keplero e al tempo stesso paladino della letteratura rabbinica allegorica.
Quest’uomo, che riassume in sé le caratteristiche della rivoluzione scientifica destinata a sconvolgere la visione tradizionale del mondo, ci conduce nel cuore dell’ebraismo di Praga dove lui, scienziato, intraprende lo studio della Kabbalah. Il suo maestro è rabbi Loew, il Maharal, il rabbino che in risposta alle suppliche dell’amata nipote Eva creerà il Golem da un pugno di fango grazie alla sola potenza della parola per dare protezione alla comunità ebraica.
“Sono nato e cresciuto in quell’universo e in quelle storie – racconta Marek Halter – e sono stato profondamente colpito dalla distruzione della cultura yiddish avvenuta con la Shoah. Il sentimento che mi ispira, in tutte le mie opere, è dunque quello di mantenere la mentalità e i valori di questa realtà scomparsa”. Le storie ebraiche sono d’altronde un destino per lo scrittore che, dopo la fuga dalla Polonia, si rifugiò con i genitori in Uzbekistan grazie a una rete di “solidarietà proletaria” tessuta intorno al padre tipografo dai colleghi sindacalisti. E qui, ragazzino, conquistò l’amicizia di un gruppo di ladri del posto che in cambio dei suoi racconti gli regalavano quel po’ di riso grazie a cui riuscì a salvare la vita della madre, una poetessa yiddish. Mentre gli amici trascorrevano le giornate a rubacchiare, il piccolo Marek leggeva libri su libri in biblioteca alla ricerca di nuove storie da narrare la sera nel campo in cui il gruppo si ritrovava. “Oggi sono uno dei pochi che ricordano immagini di un’epoca in cui si diceva ti amo in una lingua che non esiste più. Sento il dovere di custodirle e di continuare a narrarle perché non scompaiano del tutto”. La scelta di porre al centro di questo mondo uno scienziato è tutt’altro che casuale. Nel Cinquecento il mondo di colpo infatti s’ingrandì, grazie alle scoperte di Copernico, Galileo e Keplero. L’uomo viene scalzato dal centro dell’universo e le coscienze s’interrogano sul ruolo di Dio in questo paesaggio radicalmente mutato. “A questa drammatica domanda – dice lo scrittore – rabbi Loew risponde attraverso la Kabbalah per cui Dio non si trova in cielo ma nella parola e nella scrittura”.
Da qui la sfida di creare, attraverso le parole, un uomo nuovo che protegga la comunità praghese messa in pericolo dai pogrom. E solo gli ebrei, sottolinea Halter, credono che con le parole si possa fare questo. Il Golem è un essere che non ha la parola o l’intelligenza umana ma ne mantiene l’apparenza. D’altronde, rimarca l’autore, anche l’uomo secondo la Bibbia fu creato dall’argilla. Ma certo l’uomo non può eguagliare il potere divino.
La sfida finirà dunque per fallire in un finale che riecheggia molti temi del contemporaneo e porta il lettore a confrontarsi con due questioni di grande significato.
Quanto accade al Golem, spiega Halter, è molto simile a quanto accade nel nostro mondo con lo straniero. “Viene per fare i lavori che non vogliamo fare, cosa di cui siamo contenti. E al tempo stesso lo prendiamo in giro, ridiamo di lui che non ha la parola perché, come il Golem, non sa parlare la nostra lingua”. Il Golem, preso in giro e perseguitato, finirà per ribellarsi al suo creatore e ucciderlo. Un epilogo che ci riporta con immediatezza alla situazione politica. “Si ha bisogno della forza ma come si trova la giusta misura tra la forza e la giustizia? Tra la forza e il riconoscimento dell’altro?” chiede dunque Marek Halter. Ed è davvero possibile conquistare la pace attraverso la forza. Un ulteriore tema è quello della clonazione e della riproducibilità delle creature. Un gioco appassionante e al tempo stesso pericoloso, nota l’autore. Una sfida che ci mette a diretto confronto con i nostri limiti e con gli infiniti misteri della potenza creatrice.
L’altro quesito, altrettanto drammatico, riguarda la nostra padronanza di ciò che fabbrichiamo. “Si realizzano armi sempre più micidiali che possono ritorcersi contro di noi”, dice lo scrittore alludendo alla bomba atomica. “In un certo senso l’ebreo rappresenta il termometro dell’umanità. Finché è accettato, il mondo è al riparo. Ma se s’inizia a perseguitarlo il medesimo destino toccherà anche ad altri. Israele è circondato da nemici e da paesi che on lo riconoscono: il suo Golem è la minaccia atomica. Bisogna preservare la sua vita e quella degli altri a qualsiasi prezzo perché la verità è la vita”.

Daniela Gross