La micidiale macchina del falso
Nel 1796 venivano pubblicati a Londra i quattro volumi dei Mémoires pour servir à l’histoire du Jacobinisme del gesuita Augustin Barruel. Un’opera poderosa, che vedeva nella Rivoluzione francese l’esito di un complotto, iniziato nel Medioevo con lo sterminio dei Templari ad opera di Filippo il Bello e proseguito nei secoli con riformati e rosacroce, massoni e giansenisti fino ai giacobini. Il suo autore, fino a non molti decenni fa conosciuto solo agli studiosi, deve aver acquisito recentemente una certa notorietà, dal momento che a Genova esiste addirittura un centro studi a lui dedicato, con un suo sito, Progetto Barruel, naturalmente lefebvriano e antisemita. Senza contare che i volumi del Barruel, che ricordo di aver consultato un tempo polverosi nelle biblioteche, sono stati ristampati nel 1989 dalla casa editrice di tendenza fascista Arktos. Ora, il nostro Barruel era sì ossessionato dall’idea che un complotto fosse all’origine dei rivolgimenti della modernità, ma non aveva inserito tra i protagonisti del complotto gli ebrei. Forse perché gli ebrei stavano appena uscendo, con la Rivoluzione, dal loro secolare stato di subordinazione e non erano ancora considerati pericolosi. Ma ad avvertirlo del rischio – un avvertimento, dobbiamo dirlo, che Barruel non prese troppo in considerazione – fu, nel 1806, un capitano piemontese trasferitosi a Firenze, tal Jean Baptiste Simonini, che gli scrisse una lettera in cui sosteneva che gli ebrei erano i più pericolosi di tutti e che agivano sotto false identità e religione. Solo fra gli ecclesiastici francesi, ce ne erano, a suo avviso, ben ottocento. Di questo Simonini non sappiamo altro, ammesso che esistesse davvero e che la lettera non fosse un falso del ministro della polizia di Napoleone, Fouché, volto a rendere l’Imperatore ostile agli ebrei, che aveva appena riuniti nel Sinedrio. Ma lo ritroviamo nelle prime pagine del voluminoso romanzo di Umberto Eco, Il cimitero di Praga, appena pubblicato da Bompiani. In realtà, non lui è il protagonista del romanzo, ma suo nipote, un nipote a cui il nonno ha istillato fin da piccolo odio e timore degli ebrei: falsario di mestiere, spia, doppiogiochista, più volte assassino, coinvolto in tutte le vicende più intrigate ed oscure del tempo. Un’incarnazione perfetta del complotto, dal momento che passa l’intera vita a complottare, tra massoni, gesuiti, garibaldini, russi, ebrei. Tanto doppiogiochista che ha addirittura due personalità, una ignara dell’altra, entrambe cattivissime, però: due mister Hyde, non un Jekyll e un Hyde. Questo Simonini Junior, che Eco ci segnala in una nota finale come l’unico personaggio del libro che abbia davvero inventato, appare nel romanzo come l’autore di tutti i principali falsi del secolo, dal bordereau che fa condannare il capitano Dreyfus ai famosi Protocolli dei Savi di Sion, con cui si chiude il libro. Egli incontra nel corso delle cinquecento pagine del romanzo infiniti protagonisti della storia dell’Ottocento, da Nino Bixio a Ippolito Nievo (di cui Simonini fa saltare per aria la nave), da Dumas a Joly, l’autore liberale del testo che ispira i Protocolli, a Drumont, ad Estherazy (il vero colpevole dell’Affaire Dreyfus), a Goedsche, l’autore di Biarritz, il romanzo antisemita che fornisce materia ai Protocolli e che nel romanzo di Eco appare copiato dalle falsificazioni di Simonini, e via discorrendo attraverso aristocratici e gesuiti, comunardi e satanisti, fin a Charcot e Freud. Tutto il secondo Ottocento europeo si traveste, si rincorre, complotta nel romanzo di Eco. Chissà che il pubblico non vi impari la storia di quel secolo ormai sconosciuto ai più. Infatti, chi si ricorda della Comune di Parigi e fin della spedizione dei Mille? Il romanzo, e ancor più il feuilleton, sono stati sempre un ottimo canale di conoscenze storiche. Quanto a me, ho imparato la storia delle guerre di religione in Francia sul ciclo dei Valois di Alexandre Dumas e devo ammettere che non l’ho più dimenticata.
E questo è la prima delle questioni a cui vorrei almeno accennare: il rapporto, in questo testo, fra storia e romanzo. È vero che i personaggi e le vicende che vi appaiono sono tutte rigorosamente storiche, tranne il Simonini appunto, ma rispetto ad altre operazioni del genere – penso alle Memorie di Adriano della Yourcenar e alla nota finale con cui documenta il suo passaggio dalla storia alla verosimiglianza storica – qui il passaggio non è tra storia e invenzione verosimigliante, ma tra la storia e il suo travestimento in chiave di feuilleton, un’operazione costruita e ricercata fin nelle illustrazioni d’epoca che ornano il volume.
Il fine di questa operazione, poi, è quello di mostrare il meccanismo del complotto, di metterne in luce la costruzione. Fin dalle prime pagine, si parla di un falsario e si disvela come il falso si è costruito. Tutto punta ovviamente alla costruzione dei Protocolli, il grande falso degli anni a cavallo del nuovo secolo, che sarà quello dello sterminio degli ebrei. Un tema questo che accompagna da lunga pezza il percorso tanto narrativo che letterario di Eco, e che qui trova una sorta di sistemazione definitiva, in cui tutte le tessere si ricompongono in un affresco complessivo. Solo che, nell’unificare in un’unica figura, posta al centro di questa girandola di doppi giochi e mistificazioni, tutte le falsificazioni del secolo, l’idea del complotto si dimostra essere non uno stereotipo, non un pregiudizio, ma un paradigma interpretativo, se non addirittura una Weltanschauung, e finisce per autoalimentarsi: le carte si rovesciano ad ogni istante, un gesuita può essere un satanista, un militare un gesuita, e tutti finiscono per essere o ebrei o antisemiti. E se dal punto di vista del romanzo, la procedura può essere molto accattivante, dal punto di vista della storia il falso sembra diventare vero in un contesto in cui tutti i documenti sono falsi, tutti sono doppi, o tripli, e la confusione tra falso e vero regna sovrana. Certo – e chi lo sa meglio di Eco? – è un problema dibattuto da storici, filosofi, semiologi: esiste una verità al di là delle opinioni di ciascuno? Ma, quando la costruzione del falso diventa l’unica verità, è ancora possibile avere delle certezze, quali per esempio quella che I protocolli dei Savi di Sion siano un falso creato ad arte per colpire gli ebrei o prevale alla fine il fascino perverso di questo falsario antisemita? Insomma, la costruzione di Eco volta a smontare un falso non arriva, per una strana eterogenesi dei fini, a ricostruirlo? E, se ci si poteva divertire sugli eretici e le streghe de Il nome della rosa, riusciremo a farlo con innocenza anche di fronte alla genesi del libro che ha alimentato il progetto di sterminio di Hitler e che ancora viene considerato in molte parti sì un falso ma comunque un falso verosimile, un falso che esprime una verità?
Anna Foa, storica