Poco da stupirsi
Da laico, nella sua genuina accezione politica, non provo meraviglia nel leggere le risultanze del “Synodus Episcoporum” sul Medio Oriente chiusosi in Vaticano, con la partecipazione del papa, e nemmeno mi sento di contestarle in termini di coerenza e/o legittimità. Apprezzando la chiarezza di intenti che emerge da quei lavori, cosa sempre lodevole nell’ambito della dialettica politica, rilevo infatti il legittimo intendimento della Chiesa a percorrere il percorso scelto, peraltro direi quello sempre seguito, evidentemente ritenuto il più consono ai propri scopi.
Il problema si pone quindi a chi si fosse nel caso illuso circa una “conversione” vaticana verso il mondo ebraico e lo Stato d’Israele che vada oltre ai risultati ormai da tempo archiviati. Confermata la propria posizione di chiusura verso Israele, la Chiesa è andata oltre, senza giri di parole, nel riaffermare la propria “missione”. Come si può leggere sul sito del Vaticano che cita l’intervento del Papa, “durante i lavori dell’Assemblea è stata spesso sottolineata la necessità di riproporre il Vangelo alle persone che lo conoscono poco, o che addirittura si sono allontanate dalla Chiesa. Spesso è stato evocato l’urgente bisogno di una nuova evangelizzazione anche per il Medio Oriente. Si tratta di un tema assai diffuso, soprattutto nei paesi di antica cristianizzazione. Anche la recente creazione del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione risponde a questa profonda esigenza. Per questo, dopo aver consultato l’episcopato del mondo intero e dopo aver sentito il Consiglio ordinario della segreteria generale del sinodo dei vescovi, ho deciso di dedicare la prossima assemblea generale ordinaria, nel 2012, al seguente tema: ‘Nova evangelizatio ad christianam fidem tradendam – La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana’, in termini terra terra, il progetto di conversione”.
A rendere ancora più chiaro il quadro, anche sul piano teologico, ha poi contribuito monsignor Cyrille Salim Bustros, arcivescovo greco-melchita e presidente della Commissione che ha steso il messaggio finale: “Per noi cristiani non si può più parlare di Terra promessa al popolo giudeo….la terra promessa è tutta la terra. Non vi è più un popolo scelto”, riferisce l’agenzia Ansa, aggiungendo che secondo il prelato “il Nuovo Testamento ha superato il Vecchio”. Pertanto “non ci si può basare sul tema della Terra promessa per giustificare il ritorno degli ebrei in Israele e l’esilio dei palestinesi” ha chiosato Bustros parlando accanto al portavoce vaticano, Federico Lombardi, e al relatore generale del Sinodo, il neo-cardinale Antonios Naguib patriarca dei copti. E allora, seguendo anche l’analisi di Ugo Volli già svolta su queste colonne, prendiamo atto di queste riconfermate chiare posizioni, in verità tali anche prima, e definiamo se oltre al rispetto reciproco vi siano dei comuni ambiti utili di collaborazione. Diciamo un dialogo con la “d” pragmaticamente minuscola e senza tante aspettative, insomma del tipo di quei positivi messaggi che le squadre schierate in campo lanciano insieme, per fare poi ciascuna la propria partita, possibilmente senza falli cattivi…
Gadi Polacco, consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane