Un sinodo contro Israele
Sono anni e anni che la politica mediorientale della Santa Sede si dimostra nettamente antisraeliana. Quando circa 200 palestinesi armati penetrarono nella Basilica della Natività a Betlemme, nel 2002, il Vaticano scatenò una violenta campagna contro Israele su tutti i media cattolici nel mondo. Il solo conflitto mediorientale messo in evidenza nello “Instrumentum laboris” del 6 Giugno scorso, è quello fra Israele e i Palestinesi nel quale Israele eserciterebbe una cosiddetta ingiustizia nei confronti dei palestinesi. Questa sarebbe la causa dell’esodo dei cristiani da tutto il Medio Oriente, affermazione assurda. Il Sinodo ha dato l’occasione ai nemici d’Israele di definirlo “trapianto non assimilabile” in Medio Oriente e “corpo estraneo che corrode”. Ma se non ci fosse Israele, quanti Cristiani rimarrebbero nella regione? Da tempo il Vaticano preferisce una politica di appeasement nei confronti dei fondamentalisti islamici sperando così di comprarsi l’immunità, pagando con moneta israeliana. Ma queste sono pie illusioni. Tre giorni prima della pubblicazione dello Instrumentum laboris per il Sinodo, il vescovo cattolico di Iskanderun e vicenunzio per la Turchia, veniva ucciso dal suo autista islamico. Naturalmente il Vaticano definì subito l’assassino come affetto da pazzia e non ci fu l’ombra di una protesta.
Il Sinodo richiede di “metter fine all’occupazione dei differenti territori arabi” attraverso l’applicazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Ma la famosa Risoluzione 242 prevedeva sì il ritiro israeliano “da territori occupati” solo a condizione di terminare lo stato di belligeranza e di rispettare il diritto di ogni stato di vivere in pace entro frontiere riconosciute. Laddove il risultato del Sinodo si dimostra offensivo è dove esorta gli ebrei a non fare della Bibbia “uno strumento a giustificazione delle ingiustizie”, come se la Chiesa detenesse un monopolio della lettura della Bibbia ebraica.
Ritorna anche la preoccupazione per le “iniziative unilaterali che rischiano di mutare la demografia e lo statuto di Gerusalemme”. Quale statuto? Quello previsto dal piano di spartizione dell’Onu nel 1947 che i palestinesi sostenuti dagli Stati arabi rifiutarono con le armi? Ci eravamo illusi ascoltando la lezione magistrale di Benedetto XVI a Regensburg sull’Islam, che finalmente ci fosse un cambiamento di rotta nei confronti del mondo arabo. Ma durò poco e la Curia impose al Pontefice tre mesi dopo di correre a visitare una mosche di Istanbul. Fino a che prevarrà in Vaticano la politica islamica disastrosa che spera di ammansire i fondamentalisti con qualche dichiarazione anti-israeliana, non si potrà sperare in relazioni normali fra la Santa Sede e Israele.
Il viceministro degli Esteri israeliano, Danny Ayalon, non ha voluto coinvolgere direttamente il Vaticano e si è limitato a criticare la posizione dell’Arcivescovo Bustros. Il futuro ci dirà se Israele si illuda, o se invece il Vaticano si dimostrerà in grado di aprire gli occhi e di tutelare i reali interessi dei cristiani in Medio Oriente.
Sergio Minerbi