Dal sinodo un calcio ad anni di dialogo con gli ebrei
Per misurare la gravità di quanto è accaduto nel sinodo dei Vescovi sul medio oriente è sufficiente un parallelismo storico. Come si comportò la “chiesa del silenzio” sotto i regimi comunisti che praticavano l’ateismo di stato e reprimevano la libertà religiosa? Tentò di ingraziarseli emettendo proclami “anti-imperialisti” nella speranza di ottenere temporanei vantaggi? Non lo fece, si comportò in modo dignitoso e moralmente ineccepibile. Oggi, i vescovi cristiani dei paesi islamici hanno taciuto della tragica realtà in cui vivono i loro fedeli, sottoposti a persecuzioni, in drammatica diminuzione numerica e privi di libertà religiosa. Hanno trovato forza solo per condannare Israele. Soltanto il vescovo libanese Rabula Antoine Beyluni ha osato dire la verità. Ma la triste immagine di una chiesa che tace delle persecuzioni cui è soggetta non dice tutto delle conclusioni del sinodo. Colpisce l’elenco puntiglioso delle colpe di Israele senza alcun riferimento a quelle altrui; senza neppure trovare il coraggio di chiedere la liberazione di Gilad Shalit, un gesto umanitario che sarebbe stato il minimo per dei religiosi. Colpisce il calore con cui ci si è rivolti ai “fratelli” musulmani, da cui soltanto qualche “squilibrio” e “malinteso” divide, e la freddezza riservata agli ebrei, con cui esiste un “conflitto politico”. Si, è vero, si è richiamata la “Nostra Aetate” e il dialogo, ma per concludere con una pesante sentenza: “Non è permesso ricorrere a posizioni teologiche bibliche per farne strumento a giustificazione delle ingiustizie”. Grossolana gaffe invero, perché il più famoso ricorso a posizioni teologiche bibliche per giustificare secoli di persecuzioni fu l’accusa di deicidio e l’arsenale dell’antigiudaismo cristiano. Un arsenale che gli ultimi due Papi hanno tentato di smantellare. Con scarso successo, a quanto pare, vista l’interpretazione che della frase ha dato l’arcivescovo greco-melkita Cyrille Salim Bustros: “Per noi cristiani non si può più parlare di Terra Promessa al popolo giudeo”. Difatti, “la Terra Promessa è stata abolita dalla presenza di Cristo che ha stabilito il regno di Dio”, il Nuovo Testamento ha sostituito il “Vecchio” e “non vi è più un popolo scelto”. La svolta che ha segnato, dopo secoli, un nuovo rapporto tra ebrei e cattolici è stato proprio l’abbandono della “teologia della sostituzione” – che era il fondamento dell’antigiudaismo cristiano – secondo cui l’elezione di Israele è stata revocata e sostituita con quella conferita all’Ecclesia cristiana. Giovanni Paolo II disse che “chi incontra Gesù, incontra l’ebraismo”. Benedetto XVI ricordò, circa l’elezione ebraica, che “i doni di Dio sono irrevocabili”. Significa che il cristiano ha il diritto di affermare la verità e anche la superiorità della propria fede, ma deve considerarla come parte di un’unica rivelazione.
Si dirà che quel vescovo esprimeva un parere personale. Ma, trattandosi del presidente della commissione che ha redatto le conclusioni, non era uno che passava di là per caso e le sue tesi hanno avuto larga eco in un dibattito disseminato di parole spiacevoli. Quindi, la mancanza di una messa a punto è molto grave. Costui ha anche affermato che “sono stati portati 4,5 milioni di ebrei e si sono cacciati 3-4 milioni di palestinesi dalle loro terre in cui avevano vissuto per 1400-1600 anni”. A parte la menzogna storica, lascia attoniti la sfrontatezza morale: mentre si rinnovano i fasti della teologia che giustificò la reclusione degli ebrei nella “mura” dei ghetti e la “pulizia” della Spagna con la “cacciata” degli ebrei nel 1492, si osa parlare di “cacciate”, di “muri”, di “reclusione” e di “pulizia etnica”. In questi anni difficili c’è chi ha lavorato per avvelenare i rapporti ebraico-cristiani. Altri hanno tentato in tutti i modi di svilupparli positivamente a dispetto di tanti ostacoli. Oggi hanno vinto i primi. E’ da augurarsi che in questa vicenda non abbia giocato una stima del debole peso dell’ebraismo, una piuma di fronte all’islam. Un simile calcolo sarebbe oltre che cinico, irragionevole. Un cattolico dovrebbe chiedersi se un calcio ai rapporti ebraico-cristiani valga il piatto di lenticchie di un’improbabile benevolenza. Ma soprattutto dovrebbe meditare sulle parole di Ratzinger: “Un congedo dei cristiani dall’Antico Testamento avrebbe come conseguenza di dissolvere lo stesso cristianesimo”.
Giorgio Israel
(Da Il Foglio, 25 ottobre 2010)