Unione a Congresso – Idee e confronto

Il Congresso dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane è alle porte e questa domenica, 7 novembre, gli iscritti alle Comunità ebraiche italiane sono chiamati a eleggere i loro delegati che parteciperanno ai lavori. In ognuna delle tre circoscrizioni elettorali idee e programmi a confronto sono espresse da due liste in competizione. Con alcune domande rivolte ai capolista delle formazioni in gara la redazione tenta di fornire al lettore ulteriori elementi di conoscenza e di giudizio.
Per la Prima circoscrizione (Firenze capofila, Torino, Venezia, Trieste e tutte le Comunità meno numerose salvo Mantova e Napoli), parlano Gadi Luzzatto Voghera e Ugo Caffaz.

Gadi Luzzatto Voghera: “Decentramento e rappresentanza”

Piccole comunità e Otto per Mille. Gadi Luzzatto Voghera, storico e capolista della lista Per le Comunità, sintetizza l’importanza della funzione di reperimento delle risorse svolta dalle realtà minori con un esempio tangibile: “Una piccola comunità come Padova raccoglie otto volte il numero degli ebrei padovani e altre comunità di media dimensione si spingono fino a 14 volte il numero dei loro iscritti. Dobbiamo rendercene conto”.

Quali sono le basi programmatiche della Lista “Per le comunità” di cui sei il capolista?
Dallo scorso Congresso dove già era stata presentata una lista di piccole comunità si era considerato inutile riproporre a livello di comunità ebraiche il confronto politico presente a livello nazionale, ci sembrava opportuno soprassedere alle opinioni politiche per concentrarci su questioni più urgenti e all’ordine del giorno soprattutto per le piccole comunità. Questo tipo di atteggiamento si è fatto più urgente nel momento in cui si è resa concreta l’ipotesi di una riscrittura dello Statuto UCEI.
Riguardo a questo quali sono i punti che secondo voi andrebbero rivisti?
La questione nodale è quella della rappresentanza. L’ipotesi di riorganizzazione della rappresentanza delle comunità ebraiche con l’allargamento del Consiglio, svuotato di poteri esecutivi che vengono invece concentrati in una Giunta molto più ristretta e più operativa concentrata sostanzialmente a Roma, ha molto allarmato le piccole comunità che invece sentono forte la necessità di far sentire la loro voce. Per molti anni l’Unione delle Comunità si è strutturata in un’organizzazione molto complessa dal punto di vista istituzionale con più di 60 dipendenti concentrati su un ambito prevalentemente romano. I servizi di cui le piccole comunità godono in rapporto allo sforzo economico e organizzativo dell’Unione sono molto limitati. Un altro punto che dovrebbe essere affrontato è quello dell’apertura del mondo ebraico italiano verso l’estero e in particolare verso le vicine comunità europee. Di questo non vi è traccia nel nuovo Statuto, come se l’ebraismo italiano avesse deciso di vivere di se stesso, senza una prospettiva di collegamento strutturale o istituzionale con realtà di rilievo come quelle ebraiche a livello europeo. Uno Statuto in fin dei conti dovrebbe guardare al futuro.
Che ruolo dovrebbero assumere le piccole comunità in Italia?
L’UCEI è l’Unione delle Comunità ebraiche e non l’unione degli ebrei. Questo significa che ogni comunità ha la sua importanza sul territorio e deve essere adeguatamente assistita. Spesso questo cosa non accade. La sensazione è che si voglia ridurre tutto a una mera rappresentanza politica degli ebrei, concentrata su Roma. Non ci si rende conto che in questo modo si disperde un patrimonio che è già in crisi e non si riconosce l’importanza delle piccole comunità prendendo in considerazione solo i numeri e non il valore intrinseco delle singole realtà. Riguardo all’Otto per Mille, ad esempio, gran parte dei proventi derivano dallo sforzo delle medie e piccole comunità. La Comunità ebraica di Roma, che concentra quasi il 50 per cento degli ebrei d’Italia, riesce a racimolare in sottoscrizioni per l’Otto per Mille meno del numero totale dei suoi iscritti. Una piccola comunità come Padova raccoglie otto volte il numero degli ebrei padovani e altre comunità di media dimensione si spingono fino a 14 volte il numero dei loro iscritti.
Riguardo al tema del decentramento dei poteri, che proposta avanzate?
In una delle nostre proposte abbiamo identificato Bologna, per la sua posizione strategica, come luogo per poter aprire un ufficio decentrato dell’UCEI che si dedichi all’assistenza delle piccole comunità e dove si mettano a disposizione tutta una serie di servizi: da un rabbino itinerante a un ufficio amministrativo che fornisca l’assistenza necessaria alle piccole comunità e alle piccolissime che sono sprovviste di un ufficio di segreteria, a eventuali consulenze legali. Un insieme di servizi che ad oggi sono difficili da ottenere e che invece devono essere resi disponibili non solo per le grandi comunità, ma anche per le piccole e medie che dovrebbero avere gli stessi diritti.
Quali altri punti sentite di dover discutere e portare avanti?
Per il resto le problematiche sono sempre le stesse: la carenza d’assistenza per quanto concerne la kasherut, l’enorme difficoltà per le medie e piccole comunità a reperire personale rabbinico italiano e la conseguente necessità di ricorrere a rabbini stranieri. Noi potremmo avere, ad esempio, delle grandi competenze rabbiniche a Milano, ma riuscire a spostare anche solo una branca del Collegio Rabbinico di Roma a Milano sembra una cosa impossibile. I punti critici da prendere in considerazione sarebbero molti e di sicuro verranno discussi durante il congresso. La nostra lista ha preferito nella sua dichiarazione d’intenti porre però l’attenzione su ciò che ci sta forse più a cuore: il problema del decentramento e della sottorappresentazione. Su questo abbiamo lavorato negli ultimi quattro anni, cercando di raggiungere una linea comune, e cercando almeno di stabilire dei criteri paritetici nella ridistribuzione delle risorse dell’Otto per Mille.

Michael Calimani

Ugo Caffaz: “Impariamo ad apprezzare la nostra identità”

Uno scatto d’orgoglio e una maggiore attenzione per le realtà numericamente minori. Sono queste le richieste che Ugo Caffaz, ex Consigliere UCEI sotto la presidenza di Tullia Levi e capolista della lista Per l’ebraismo italiano, rivolge agli ebrei italiani in procinto di andare al voto: “L’ebraismo italiano è storicamente fondato sulle piccole comunità ed ha pari dignità con qualsiasi altra realtà ebraica europea e mondiale”.

Come nasce la lista Per l’ebraismo italiano?
Nasce dalla volontà di rivendicare e riaffermare le caratteristiche basilari dell’ebraismo italiano: la sua storia bimillenaria, la sua originalità, la sua grande ricchezza culturale e la sua capacità dialogica con la società esterna. Quello che serve agli ebrei italiani è uno scatto d’orgoglio. Non dobbiamo guardare ad altre realtà ebraiche europee e mondiali, penso ad esempio all’ebraismo nordamericano e a quello mitteleuropeo, come a realtà di maggior valore rispetto alla nostra. Misurare le varie modalità di approccio all’ebraismo è sbagliato. Pur con modalità individuali e collettive differenti, gli obiettivi che perseguiamo sono infatti condivisibili. Dobbiamo quindi essere pronti ad aprirci al confronto e trarre da queste esperienze di scambio reciproco nuovo slancio e nuove idee per la nostra comunità. Ma per fare ciò bisogna avere piena consapevolezza dell’identità che ci appartiene, perché solo chi è in grado di apprezzare la propria identità non teme il confronto.
Su quali temi si sviluppa il vostro impegno?
L’impegno della lista Per l’ebraismo italiano è focalizzato a dare una maggiore visibilità e capacità di soddisfacimento delle proprie esigenze alle piccole e medie comunità. La presenza e il peso di tali comunità in seno all’UCEI deve andare aldilà di una mera questione numerica, quello che auspichiamo è la possibilità di giocare un ruolo decisivo nella scelta di chi governerà l’Unione negli anni a venire e di chi si occuperà di riformare lo Statuto. Troppo spesso infatti le piccole comunità vengono considerate importanti esclusivamente per il patrimonio turistico di cui dispongono. In realtà sono istituzioni ancora in grado di contribuire al futuro dell’ebraismo italiano, a partire dall’impatto decisivo che hanno nel dialogo con la società esterna e nel reperimento di risorse attraverso la raccolta dell’Otto per Mille. Le piccole comunità hanno più oneri che onori e questo è storicamente sbagliato visto che la tradizione del nostro ebraismo si poggia su tali comunità e sulla loro capacità di vivere e relazionarsi con il territorio. Restando in Toscana faccio l’esempio del ruolo fondamentale svolto nei secoli dalla Comunità di Pitigliano.
Leggendo il vostro programma emergono posizioni molto critiche rispetto alle attuali dinamiche che portano alla formazione dei rabbini. Conferma?
Sì, questo è uno dei punti che riteniamo sia indispensabile affrontare al più presto. L’attuale centralismo romano è insopportabile. Non è pensabile che le comunità paghino la formazione dei rabbanim e che poi questi restino nella Capitale: i rabbini sono un patrimonio di tutta la comunità italiana e non un patrimonio esclusivo di quella romana. Questo atteggiamento va a scapito dell’italianità del nostro rabbinato, caratteristica sulla quale penso dovremmo insistere. Il fatto che una comunità scelga un rabbino straniero è una scelta che può essere anche condivisibile, ma dovrebbe per l’appunto trattarsi di una scelta e non di un obbligo. Quello che chiediamo all’UCEI è di sviluppare attraverso il Collegio Rabbinico programmi per la formazione di futuri rabbini che siano in grado di soddisfare le esigenze delle realtà numericamente minori. È una richiesta che vale in generale: l’UCEI deve essere fattivamente una Unione di tutte le comunità. La concentrazione nei grandi centri è sbagliata, la via da percorrere è quella di un sano federalismo comunitario.
Altri punti che ritenete prioritari?
La diffusione della cultura e dell’informazione, sia interna che esterna. È importante dare continuità agli strumenti predisposti dall’attuale Consiglio per realizzare opportunità di formazione e informazione ebraica, prendendo come modello di riferimento l’esperienza molto positiva della newsletter l’Unione Informa e del mensile Pagine Ebraiche che sono ottimi strumenti di confronto e che hanno aperto nuovi fronti di comunicazione. Un’altra questione di grande importanza riguarda la kasherut. L’Unione dovrebbe attivarsi per migliorare la distribuzione dei prodotti kasher anche nelle piccole e medie comunità, impegnandosi ad abbassarne il prezzo d’acquisto, spesso irragionevole e fuori dalla portata delle tasche di molti. Sul piano internazionale vorremmo inoltre promuovere scambi politici tra Italia e Israele in modo da sconfiggere il pregiudizio anti-israeliano, sostenendo allo stesso tempo le iniziative che portino a una risoluzione del conflitto mediorientale con il raggiungimento di una pace giusta e duratura e con la messa in sicurezza dello Stato di Israele e dei suoi abitanti.

Adam Smulevich