Il Collegio rabbinico è utile solo a Roma?
A ogni congresso dell’Ucei si ripete un “mantra” secondo cui il Collegio rabbinico italiano, con sede a Roma, serve solo per formare rabbini che resteranno nella capitale. Forse, se ci si interessasse del Collegio non solo in vista del congresso e non solo quando una Comunità è alla disperata ricerca di un rabbino, si mostrerebbe di avere una maggiore ampiezza di vedute e un pensiero a lunga prospettiva. Ma è proprio vero che i rabbini laureatisi al Collegio rabbinico sono rimasti per lo più a Roma? Come studente del Collegio da una vita, docente da vent’anni e coordinatore da due anni, sotto la direzione di rav Riccardo Di Segni, posso fornire notizie di prima mano, e non basate su voci incontrollate, riguardo a chi studia al Collegio, chi vi insegna, chi si è laureato e dove è andato dopo la laurea.
Cosa sia il Collegio e come sia strutturato non è per niente un mistero, e ne ho parlato in una recente intervista pubblicata nel numero di agosto di Pagine ebraiche. Riguardo al destino dei laureati del Collegio, limitandoci agli ultimi vent’anni, essi hanno ricoperto la cattedra rabbinica, e in alcuni casi tuttora la ricoprono, nelle seguenti Comunità: Venezia, Trieste, Padova, Bologna, Milano e Ancona. Dei laureatisi con titolo di rabbino maggiore dal 1990 a oggi, quattro rabbini sono andati in altre Comunità, cinque sono rimasti a Roma (solo tre come dipendenti della Comunità), e uno ha fatto la aliyà. Come si vede, non è affatto vero che i rabbini laureatisi a Roma “sono un patrimonio esclusivo della Comunità romana”. Oltre ai rabbini, il Collegio ha fornito regolarmente, negli ultimi anni, giovani allievi e allieve come chazanim per i chaghim e per svolgere attività socio-culturali nelle Comunità di Pisa, Siena, Firenze, Ancona e Milano. Il Collegio sarebbe disponibile a mandare i propri allievi anche in altre Comunità, che però spesso hanno manifestato scarso o nullo interesse all’iniziativa.
Passando al presente, il Collegio sta vivendo una fase di rigoglio, con classi piene e più di 100 frequentatori, dall’età scolastica fino a quella adulta. Il corso superiore, che abilita al conseguimento del titolo di rabbino maggiore, conta 6 iscritti (di cui uno in yeshiva in Israele), un numero che da anni non si vedeva. La maggior parte di questi allievi (già in possesso del titolo di maskil) hanno intenzione di intraprendere una carriera rabbinica nell’ambito delle Comunità ebraiche italiane.
Le prospettive sono quindi incoraggianti. Molto resta ancora da fare, ovviamente. Bisognerebbe attirare un maggiore numero di allievi, aumentando l’offerta didattica e la qualità dell’insegnamento, soprattutto nelle prime classi della scuola media e del liceo; bisognerebbe aumentare il numero di coloro che si sentano attratti dalla carriera rabbinica, e su questo anche le Comunità e le stesse famiglie si dovrebbero impegnare. L’unica cosa che non si può fare è affossare il Collegio rabbinico italiano, dislocandolo altrove (come è stato detto) o diminuendo l’impegno culturale, economico e istituzionale dell’Ucei. Meno l’Unione investe nel collegio, più problemi ci saranno in futuro per tutto l’ebraismo italiano, e viceversa. Ben venga invece l’apertura di altri collegi rabbinici, come la Scuola Margulies-Disegni di Torino, di cui abbiamo letto l’imminente riapertura, e il rafforzamento del collegio di Milano, che è incomprensibile come mai ancora non possa operare a pieno titolo.
Gianfranco Di Segni, Coordinatore del Collegio rabbinico italiano