Il Collegio rabbinico fra centro e periferia

Lo dico da ebreo di una “piccola” Comunità e rischiando forse, credo però poco almeno su questo tema, una piccola dose di impopolarità: le riflessioni di rav Gianfranco Di Segni sul Collegio Rabbinico Italiano dipingono un quadro realistico della situazione e, in linea con il personaggio, sono tanto pacate quanto schiette nel tratteggiare anche ciò che si dovrebbe almeno tentare di fare per migliorare l’attività di questo istituto basilare per l’ebraismo italiano.
Non tornerò quindi su quanto ha fotografato Rav Di Segni, pur chiedendomi se la scelta di rabbanim non italiani da parte di alcune Comunità, operazione più che legittima, possa essere attribuita sempre ad assenza di “offerta” locale, come non credo: auspico semplicemente che il prossimo congresso possa superare una contrapposizione tra “grandi” e “piccole” Comunità che mi appare ormai lontana nel tempo ed anche un lusso che, dinanzi ai problemi che ha tutto il “piccolo” ebraismo italiano , non possiamo permetterci.
Usando termini aziendali credo sia giunta l’ora di guardare ai nostri due “grandi” (ma pur sempre “piccoli”) poli come siti propulsivi che riescono a produrre prodotti e servizi, spesso oggettivamente non realizzabili altrove, dei quali potrà e dovrà beneficiare tutto l’ebraismo italiano, nonchè poli nei quali potranno formarsi professionalità ebraiche,non necessariamente quindi “solo” rabbini, provenienti anche dalle altre realtà, alle quali potranno magari far ritorno utilmente formati.
Ciò non è peraltro contrastante con l’idea di decentrare quanto fosse utilmente decentrabile: si tratta di prendere atto,da parte di tutti, del fatto che i “campanili” non aiutano ad andare lontano, nemmeno in tempi di federalismo, vero o presunto che sia.

Gadi Polacco, Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane