Memoria e oblio
Due libri, recentemente tradotti in Italia, risollevano l’antico problema del valore etico della memoria, e della necessità della sua custodia. Il primo, La storia universale della distruzione dei libri. Dalle tavolette sumere alla guerra in Irak, di Fernando Bàez, da noi pubblicato dall’editore Viella, ripercorre i numerosi casi di “massacri di libri” perpetrati nelle varie epoche e nei vari luoghi, cercando di cogliere analogie e differenze tra i vari casi (tutti, comunque, ascrivibili a una forma di ‘memoricidio’ decretato, per diversi motivi, dal potere del momento). Il secondo, I brutti scherzi del passato. Identità, responsabilità, storia, di Manuel Cruz (Bollati Boringhieri) affronta il problema dell’ambivalenza del ricordo, e della possibile forza negativa della memoria, in grado di schiacciare e annichilire sotto il suo gravoso peso.
Il tema, ovviamente, è assolutamente centrale per la coscienza ebraica, che vede nel dovere di ricordare un fondamentale elemento identitario, e respinge i vari inviti all’oblio e alla dimenticanza (quando non alla negazione e cancellazione del passato) come degli espliciti attacchi contro la stessa identità del popolo d’Israele: attacchi rivolto non solo – come potrebbe apparire – al diritto di custodire il ricordo, ma anche a vivere un presente, e a preparare un futuro. Le ricorrenti accuse di ‘strumentalizzazione’ della Shoah, e le esortazioni a sganciare la percezione del presente e la costruzione del futuro dal retaggio della memoria (per esempio, evitando di collegare le preoccupazioni odierne per la sicurezza dello Stato di Israele alle tragiche lezioni del passato) sono fondate sempre o sulla malevolenza o sull’ignoranza, nel momento in cui vanno a incidere su quella autocoscienza di sé che, per l’anima ebraica, è altrettanto importante della stessa vita. Non è vita da uomini una vita inconsapevole, sospesa nel solo presente, che prescinda dal legame con le generazioni passate, così come con quelle avvenire.
È anche vero, però, che la memoria non porta consolazione, anzi: “l’uomo dice ‘io ricordo’ – notò Nietzsche -, e invidia l’animale, che dimentica”. E la stessa umana intelligenza, la necessità di elaborare dati, nozioni e punti di riferimento, impone di scegliere tra i ricordi, di decidere cosa conservare e cosa distruggere, attraverso una continua operazione di filtro, nella quale anche l’oblio e la rimozione assumono un ruolo essenziale (il personaggio borgesiano Funes, in possesso di una memoria favolosa, che gli permetteva di ricordare tutto, diventava in pratica un idiota, in quanto incapace di filtrare e strutturare il sapere). Di fronte ad alcune particolari, terribili esperienze, poi, ricordare – come notò Primo Levi – può significare approssimarsi nuovamente ai cancelli della morte, col rischio di restare pietrificati sotto lo sguardo della Medusa, di trasformarsi in statue di sale, come la moglie di Lot in fuga da Sodoma.
Difficile condannare, pertanto, chi si trovi a contravvenire al precetto mosaico di “non dimenticare Amalek”, o chi, dovendo selezionare i ricordi, preferisca scegliere il bene, e non il male. Ma proprio per questo, anche in nome di chi dimentica, chi ricorda è doppiamente tenuto a farlo, perché, come disse il Ba’al Shem Tov, “se la dimenticanza conduce all’esilio, la memoria è la porta della gheullah”, della redenzione.
Francesco Lucrezi, storico