Una lingua comune
Dieci o vent’anni fa non avrei mai immaginato che una serata di discussione e confronto tra donne nella mia comunità, aperta a tutte e volutamente non elitaria o specialistica, potesse svolgersi prevalentemente in ebraico; eppure è proprio questo che è accaduto la settimana scorsa al bet midrash delle donne di Torino. Non è sorprendente, s’intende, che sia stata tenuta in ebraico (con traduzione in italiano) la lezione della nostra nuova rabbanit, la signora Renana Birnbaum; alla lezione sono poi seguite domande, con repliche e controrepliche, e più la discussione si infervorava più ci si dimenticava di tradurre. Ho fatto mentalmente il conto delle persone presenti e mi sono resa conto che più di metà era in grado di capire l’ebraico: una percentuale piuttosto inconsueta per una comunità della diaspora, dovuta alla presenza di un certo numero di israeliane. E questo è un altro fatto curioso, perché fino a pochi anni fa gli israeliani in comunità si vedevano pochissimo, soprattutto se non osservanti. Questa volta, invece, non solo le israeliane erano presenti, ma anche molto partecipi: la padronanza della lingua aveva modificato le abituali dinamiche del gruppo.
Una volta avevo la convinzione che gli israeliani “laici” fossero molto più lontani dall’ebraismo di noi ebrei della diaspora, costretti dalla nostra condizione di minoranza a riflettere continuamente sulla nostra identità. Ma per rovesciare questa impressione basta invitare qualche israeliano a un seder: noi magari ci siamo suddivisi le parti con molto anticipo, ci siamo allenati a leggere, abbiamo analizzato il testo e studiato commenti, poi quelli arrivano, aprono l’Haggadà, magari con l’aria di chi è capitato lì per caso e non sa cosa ci sia scritto, e ovviamente leggono molto meglio di noi, per di più in modo tale da far capire il senso. In effetti conoscere la lingua significa essere all’interno della cultura, percepire le sfumature di significato di ogni parola, coglierne lo spessore storico. A un convegno qualche anno fa ho sentito una scrittrice israeliana affermare orgogliosamente “Il re David potrebbe leggere i miei libri”, e aveva perfettamente ragione. Forse le matriarche non si sentirebbero troppo a disagio nel nostro bet midrash.
Anna Segre, insegnante