l’insegnamento di Giacobbe…

Nella lotta con l’angelo di Esaù, Giacobbe viene colpito al femore, nel suo cammino, nella sua “halakhà”. La storia non passa senza ferite, per far splendere il sole il testo sottolinea che Giacobbe zoppica. Il suo cammino è rallentato ma non bloccato. Questa lotta è molto legata alla polvere. Il verbo lottare che viene usato ha una radice “alef, bet, kuf”, stesso etimo della parola polvere… come se lottare con un altro volesse significare togliergli la terra da sotto i piedi. Farlo cadere, farlo volare in aria e poi farlo ricadere, cioè non dargli presa sulla terra, non dargli stabilità. Ma l’angelo di Esaù non riesce a togliere stabilità a Giacobbe e a polverizzarlo. Se interpretiamo tutto questo nel segno di quello che avverrà in futuro nei rapporti tra i discendenti di Giacobbe e gli altri, il fatto che il nostro Patriarca è zoppo sta ad indicare che le persecuzioni subite non ci hanno impedito di andare avanti ma, senza dubbio, hanno rallentato il nostro cammino. Ma la cosa più significativa è che nel declinare l’invito di Esaù a procedere assieme, nel tentativo di una normalizzazione dei loro rapporti, Giacobbe non usa l’handicap del suo claudicare per giustificare il suo diverso e lento andamento. Preferisce piuttosto argomentare il suo rifiuto alla paternalistica e omologante proposta del fratello dicendo di voler procedere secondo un altro ritmo che è quello dei bambini e quello del suo gregge. Con buona pace di tutti coloro che ci accusano di usare la Shoah, Giacobbe insegna ai suoi discendenti che il passo deve essere cadenzato dal cammino dei bambini: il nostro futuro.

Roberto Della Rocca, rabbino