…insediamenti

Giuliano Ferrara è un amico che ha preso tante volte posizioni coraggiose e controcorrente di fronte al becero andazzo anti-israeliano e anti-ebraico. Nel suo articolo sul Foglio del 15 novembre, però, mi sembra abbia preso un grande abbaglio. Quando parla degli insediamenti in Cisgiordania, è abbastanza vero che non ci dovrebbero essere “aree off limits per gli ebrei in Palestina, e finché le forze politiche palestinesi rivendicheranno la cacciata dei coloni dagli insediamenti, vuol dire che vogliono la cacciata di Israele, il primo e più grande insediamento, da quella che considerano la loro terra”. Ed è vero che “una volta sradicati gli insediamenti, come a Gaza, bruciano le sinagoghe, crollano le pietre, vince l’estremismo fondamentalista”. Ma è sbagliato dire che “i settlers sono quella avanguardia che offre con una vita di pazzesco eroismo quotidiano radici territoriali e civili all’albero della madrepatria, quella dei confini originari e riconosciuti dalla comunità internazionale ma non dai vicini di casa dello stato ebraico”. I confini originari del Mandato Britannico del 1922 sono deceduti da lungo tempo, come lo sono i confini riduttivi della guerra di Indipendenza del 1948. Il Sionismo come movimento di liberazione del popolo ebraico, e lo stato d’Israele come suo strumento politico non hanno mai avuto una vocazione territoriale massimalista basata su diritti storici, seppure inconfutabili e inalienabili. Da Herzl in avanti, il Sionismo ha invece sempre perseguito una soluzione ai problemi del collettivo ebraico basata sul diritto pubblico, sul negoziato, e quindi anche sul compromesso e la rinuncia. Il “pazzesco eroismo” dei singoli avanguardisti, in quei casi purtroppo non infrequenti in cui contravviene alle regole dello stato di diritto – e Israele, è bene ricordarlo, è uno stato di diritto – non promuove l’interesse del collettivo. Semmai lo danneggia.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme