La dignità del lavoro
Non trattenere presso di te per tutta la notte, fino al mattino, il compenso per il lavoro che il mercenario avrà fatto presso di te. (Levitico 19,3)
Un verso così perentorio non ammette che si possa invitare il proprio dipendente a lavorare gratis facendo leva sul suo senso di responsabilità, e ancora meno che lo si possa biasimare per avere rifiutato di farlo. Sembra un’ovvietà? Eppure ultimamente mi è capitato, a proposito degli insegnanti, di udire affermazioni che sembrano negare questo elementare principio. Il caso più clamoroso è quello delle gite scolastiche, per cui è stato eliminato anche quel minimo compenso che finora era riconosciuto agli accompagnatori. Di fronte alla scelta di molti di non dare la propria disponibilità ai viaggi d’istruzione a queste condizioni, si è sentito di tutto: chi insiste sul valore culturale delle gite, chi chiede un sacrificio per il bene comune, chi afferma che gli insegnanti con questa forma di sciopero (ma da quando in qua rifiutarsi di lavorare gratis si chiama sciopero?) danneggiano i propri studenti. Tra l’altro, è da notare che il verso della Torah non dice che se il lavoratore si è divertito a fare il suo mestiere il datore di lavoro è esentato dal dovere di pagarlo. Per la Torah il compenso non toglie dignità all’attività svolta, come accadeva nel mondo greco e romano, ma, anzi, è proprio un riconoscimento di questa dignità. Credevo che questo principio ebraico fosse ampiamente acquisito nella cultura occidentale. Se non è così, al di là dell’occasione specifica in cui si è generato il dibattito, mi sembra un sintomo preoccupante.
Anna Segre, insegnante