La cacciata degli ebrei dall’Italia meridionale
Un importante, ottimamente riuscito convegno internazionale, organizzato dall’Università “l’Orientale” di Napoli (su impulso, soprattutto, dell’instancabile Giancarlo Lacerenza, grande benemerito della promozione degli studi ebraici in Italia), ha inteso commemorare, lunedì e martedì scorsi, a cinquecento anni di distanza, la cacciata degli ebrei dall’Italia meridionale.
L’espulsione del 1510, seguì, com’è noto, quella decretata, 18 anni prima, dai sovrani cattolici di Spagna, e fu una inevitabile conseguenza della diretta sottomissione di Napoli – fino al 1503 sottoposta al dominio aragonese, improntato a una tradizione di relativa tolleranza e accoglienza – al Regno di Spagna. Alla base del provvedimento ci furono diverse ragioni, fra cui l’esigenza della corona di Madrid di cementare la recente unità del regno, sulla base di un clericalismo vissuto in modo assolutamente oppressivo, violento e oscurantista, nel rifiuto di qualsiasi dialettica culturale, nazionale e religiosa. Il tutto con l’avallo e l’istigazione di un clero retrivo e oscurantista, imbevuto di fanatismo, intolleranza e morboso antisemitismo.
Nel 1492, com’è noto, dopo la conquista di Granada e la cacciata dei Mori, il bando di espulsione dalla Spagna – seguito, nel 1498, dalla cacciata dal Portogallo – segnò una terribile sciagura per il popolo israelita, che proprio nella penisola iberica aveva, da secoli, la sua principale dimora. E, dopo l’annessione del 1503, le attese conseguenze di tale catastrofe, per gli ebrei napoletani, non si fecero attendere. Già nel 1506 re Ferdinando ordinò che tutti gli ebrei portassero sugli abiti un segno distintivo di colore rosso e poi, il 2 novembre 1510 – sotto la spinta di una virulenta predicazione antigiudaica, promossa in primo luogo dalla Chiesa cattolica, tanto romana quanto locale -, fu firmato, a Madrid (e poi pubblicato, a Napoli, la mattina del 23 novembre), un primo bando di espulsione, in forza del quale dovettero abbandonare la città tutti gli israeliti, ad eccezione di coloro che fossero in grado di pagare ogni anno 3000 ducati alla casa reale (cosa che solo 200 famiglie furono in grado di fare). Nel 1515 il bando fu applicato anche agli ebrei convertiti (i cosiddetti cristiani novelli o neofiti, successivamente chiamati marrani), nel 1533 un editto (poi sospeso) ordinò agli israeliti di convertirsi o di partire entro sei mesi, nel 1535 la tassa per poter restare salì a 10.000 ducati e nel 1541, infine, tutti gli ebrei, anche i più facoltosi, vennero definitivamente allontanati. Le cifre ufficiali (probabilmente assai esagerate) attestano di 30.000 persone espulse nel 1510, e di altre 42.000 nel 1541. Un esodo forzato le cui conseguenze si sono fatte sentire in tutti i secoli successivi, giacché gli ebrei rappresentavano la parte più aperta e cosmopolita del Mezzogiorno d’Italia, ed erano fra i pochi ad avere costanti contatti – non solo commerciali, ma anche familiari e culturali – con gli abitanti di altre contrade, anche molto lontane, tanto da potersi dire che la loro cacciata condannò Napoli e il Sud a un destino di chiusura e provincialismo non ancora, purtroppo, del tutto superato.
È significativo ricordare l’esito, sul piano storico e giuridico, dei due editti di espulsione, quello dalla Spagna, del 1492, e quello da Napoli, del 1510. Il primo, sia pur sostanzialmente superato dalla “gloriosa Costituzione” del 1869, e poi dalla Legge Rivera del 1924, rimase tuttavia formalmente in vigore fino al 1968, quando fu finalmente cancellato dal Generale Francisco Franco. Il secondo (a parte una breve, effimera revoca disposta da Carlo III di Borbone, tra il 1740 e il 1747) non fu invece mai revocato, e venne meno soltanto col crollo del regno borbonico, a seguito dell’impresa di Garibaldi e dell’unificazione d’Italia sotto i Savoia, che permise, già nel dicembre 1861 – nel nuovo clima, laico e liberale, di apertura al pluralismo religioso e culturale (già ufficialmente riconosciuto, nel Regno sabaudo, dallo Statuto Albertino del 1848) – la sottoscrizione di un “Progetto per la fondazione di una Comunità Israelitica di Napoli”, che giunse a realizzazione nel 1864, con l’inaugurazione ufficiale della “Università Israelitica di Napoli”. Un dato da ricordare, nell’approssimarsi dell’altra, importante ricorrenza del centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia.
Francesco Lucrezi, storico