Vajeshev e la proibizione
Il racconto di Giuseppe ci offre anche interessanti spunti giuridici: “In seguito a questo, la moglie del padrone pose gli occhi su Giuseppe, e gli disse: «Giaci con me». Egli rifiutò protestando «…niente mi ha vietato eccetto te perché sei sua moglie; come potrei commettere una azione così cattiva, peccando verso D-o? »” (Gen. 39: 7-9). Rashì, basandosi sul Talmud Bavlì, Sanhedrin 57a, commenta: “Ai figli di Noè sono state proibite le unioni illecite” (come quelle con una donna sposata). Due sono gli elementi portati da Giuseppe: il non voler tradire il suo padrone che ha avuto fiducia in lui e il non voler peccare verso D-o (Ramban). La proibizione dell’adulterio e dell’incesto appare già all’inizio del libro della Genesi; nel racconto della creazione di Adamo troviamo il primo riferimento esplicito al problema, riferimento che naturalmente è valido ancor oggi per ogni uomo (figlio di Noè), ed è alla base del matrimonio ebraico stesso: “Perciò l’uomo abbandona padre e madre, si unisce con la moglie e diviene con lei come un essere solo” e Rashì, in loco: «È lo spirito santo che dice queste parole, proibendo ai figli di Noè le relazioni incestuose». Il Midrash Bereshit Rabbà 18,5 si esprime: «Si unisce con sua moglie – Rabbì Abbahu dice a nome di R. Johanan: i figli di Noè (tutta l’umanità) sono responsabili per relazioni sessuali con donne sposate (ad altri). Il Maimonide fissa la norma nel suo Mishné Torà, Hilchot Melachim: 9,5: «Sei situazioni di rapporto sessuale illecito sono vietate al Noachide: rapporto con la (propria) madre, con la moglie del proprio padre, con la propria sorella che abbia in comune la madre, con la moglie di altro uomo (ovvero adulterio), con un maschio (ovvero omosessualità) , con un animale (ovvero bestialità)». La situazione era ben lungi dall’essere facile per Giuseppe: “Un giorno in cui era entrato in casa per fare il suo lavoro e nessuno della gente di casa era là presente” (Gen. 39:11); per l’amorà Rav, Giuseppe era venuto per svolgere la sua normale attività lavorativa, ma per un altro amorà, Shemuel, Giuseppe avrebbe avuto intenzione di stare con la moglie di Potifar ma all’ultimo momento gli apparve l’immagine di Jaakov suo padre (T.B. Sotà 36b); “ha detto Rabì Avin: ha visto anche l’immagine di Rachel” (sua madre morta; T. Jerushalmi, Horaiot 2:5). Questa è la vera forza dell’educazione; la vita è piena di tentazioni ma è in questi frangenti che viene richiesta l’influenza della educazione avuta e Giuseppe seppe superare la prova nel momento più difficile. I racconti dei Padri ci vengono offerti per dare a noi, loro figli, un insegnamento: anche noi, una volta che ci troviamo in una situazione moralmente difficile, dobbiamo avere la possibilità di avvertire la presenza di una persona cara che ci richiami per raddrizzare le nostre vie.
Alfredo Mordechai Rabello, giurista