L’abitudine all’abitudine
Nella Meghillat Antiochos, una delle fonti antiche che racconta la storia di Chanukkà, si dice che i Greci si accanirono contro tre riti ebraici: lo Shabbat, il Capo Mese e la Milà. Passi per lo Shabbat e la Milà, che sono pilastri dell’ebraismo, ma cosa di tanto importante c’era nel Capo Mese? Effettivamente, soprattutto quando esisteva il Miqdash, il Capo Mese era un momento importante, prescritto dalla Torà; la parashat hachodesh è la prima mitzwà data a Moshè. Ma perché dava tanto fastidio ai Greci? Le risposte a questa domanda si basano su quanto detto prima, ma si può proporre qualche idea in più.
In italiano si dice “alle calende greche” per indicare una data inesistente. Le calende erano presso i romani il primo giorno del mese lunare, e non c’erano nel calendario greco. E già questo si pone come un elemento di differenza tra ebrei e greci. Ma c’è un altro dato rilevante. Presso gli ebrei la determinazione della data del Capo Mese avveniva con una procedura speciale che prevedeva l’avvistamento della nuova luna in cielo, la raccolta della testimonianza relativa e quindi il decreto del Tribunale di Gerusalemme, l’unica autorità con questa facoltà, che poi veniva diffuso in tutto il mondo ebraico. Le date delle feste si basavano su questa procedura.
Cosa c’entra tutto questo con i Greci? Anche loro avevano un calendario basato sulla luna e anche loro dovevano prevedere un correttivo per adattare il calendario lunare a quello solare. L’anno solare dura circa 11 giorni in più dell’anno di 12 mesi lunari, alternativamente di 29 e 30 giorni, per cui bisogna ogni tanto aggiungere un mese di compenso per rispettare il ciclo agricolo naturale che si basa sul sole. Tutto questo nell’antica Israele avveniva sotto il controllo del Sinedrio che decideva quando dovesse cominciare il mese e in quali anni aggiungere un mese in più prima di Pesach.
I Greci però avevano capito il trucco; con un semplice calcolo l’astronomo Metone aveva scoperto che un ciclo di 19 anni di mesi lunari + 7 mesi aggiuntivi coincideva con la durata di 19 anni solari, per cui si poteva disporre un sistema automatico. La cosa fu introdotta in Grecia nel 432 prima dell’era cristiana, molto prima della dominazione dei Seleuci della terra d’Israele, dell’ellenismo e della rivolta degli Asmonei. Conoscendo il sistema di Metone (ma probabilmente c’erano già arrivati da soli, se non l’avevano già scoperto i Babilonesi) i rabbini del Sinedrio si sarebbero risparmiati la fatica della complessa procedura di ogni inizio mese. Effettivamente questo fu quello che accadde ben otto secoli dopo Metone, quando la grande Diaspora e le persecuzioni contro il Sinedrio costrinsero uno degli ultimi suoi patriarchi, Hillel II, ad istituire il sistema di calendario perpetuo e automatico, basato su cicli di 19 anni, che è quello che ancora oggi usiamo.
Perché i rabbini non adottarono subito il sistema di Metone? Sembra difficile che si tratti di ostinazione antiscientifica. E’ invece l’espressione della volontà di lasciare il controllo degli eventi e di tutta la vita religiosa nelle mani degli uomini, piuttosto che nell’automatico svolgimento delle cose. In questo si segnalava una radicale opposizione al pensiero greco, alla sua razionalità, al rapporto con la natura. E questo spiegherebbe perché i greci se la presero tanto non solo con Shabbat e Milà, ma anche contro il Capo Mese.
C’é una parola chiave in questa opposizione che torna nelle halakhot di Chanukka: reghel, che in ebraico indica l’arto inferiore, la festa e l’abitudine. Le luci devono brillare fino a che non finisca reghel min hashuq, il camminare, il passeggio dalla strada. Sono state date spiegazioni simboliche a questo reghel; per Levi Izchaq di Berditchev (Qedushat Lewi) è l’espressione dell’abitudine, del normale corso degli eventi, in opposizione al senso profondo di Chanukkà che indica invece l’elemento provvidenziale, non automatico e non ciclico. Il miracolo a Chanukkà proprio questo sta a indicare, e la luce che lo racconta deve durare fino a quando non finisca dalla strada l’abitudine all’abitudine. E a conferma di questa lettura si può richiamare la famosa storia del pagano che voleva convertirsi, prima con Shammai e poi con Hillel, con la pretesa di apprendere la Torà mentre stava su un unico reghel; che di solito si spiega mentre stava su un solo piede, ma che si spiega meglio pensando che reghel assomiglia alla parola latina regula, da cui regola, in italiano. Il pagano voleva tutta la Torà in una sola regola (e Hillel gliela dà), i Maestri chiedono che la luce di Chanukkà brilli fini a che non finisca l’idea che il mondo si basa solo sulla regola, sulla legge fisica. In apparenza si può decidere con una buona approssimazione che il Capo Mese capiti a date fisse, ma questa è una regola razionale. Il pensiero della Torà vuole superare questo limite.
Rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma