Come far sentire la voce di tutti
L’Unione è davvero la casa di tutti gli ebrei italiani? A volte quelli che vivono nelle piccole e medie Comunità si sentono tagliati fuori dalle stanze del potere, incapaci di incidere sulle scelte di fondo e dimenticati nelle loro esigenze (educazione, rabbini, prodotti kasher). Dall’altra parte, a quanto risulta da alcune dichiarazioni che si sono lette recentemente, anche i romani si sentono sottorappresentati nell’UCEI. Dunque tanto i “grandi” quanto i “piccoli” sono insoddisfatti e ritengono di non contare abbastanza. Com’è possibile? In effetti la bozza di modifica dello Statuto prevede la presenza nel Consiglio dei 21 presidenti (o altri rappresentanti) delle Comunità italiane, e quindi il peso specifico delle Comunità medie e piccole sembra aumentare; però i consiglieri eletti dalla base saranno solo sei, e per di più divisi in tre circoscrizioni, così che ciascun ebreo che non vive a Roma o a Milano si troverebbe a poter scegliere solo due consiglieri su 59. Come si fa a organizzare una campagna elettorale, con tanto di liste e programmi, per eleggere due persone? Meglio che niente, ma la sensazione di essere schiacciati dai “grandi” e di contare poco o nulla ha comunque qualche fondamento. A Roma vive più della metà degli ebrei italiani, e quindi pare ingiusto che i romani eleggano poco più di un terzo dei consiglieri; ma bisogna considerare che un terzo è probabilmente sufficiente per determinare la politica generale dell’ebraismo italiano, e, se questa proporzione si modificasse a vantaggio di Roma, che interesse avrebbero le altre Comunità a far parte dell’UCEI sapendo già in partenza di dover sottostare a quanto deciso da altri? Dobbiamo dunque ricordare che si tratta dell’Unione delle Comunità Ebraiche, non degli ebrei, e si sa che gli organismi federativi funzionano così: la California manda a Washington due senatori esattamente come il Vermont e nessuno se ne scandalizza. Così forse è inevitabile accontentarsi della soluzione di compromesso proposta nella bozza. Oppure, come è stato proposto da qualcuno, si potrebbe prevedere un collegio elettorale unico per tutta Italia: per noi “piccoli” e “medi” può essere un rischio, ma anche un’opportunità, e ciascun ebreo italiano contribuirebbe con il proprio voto a designare chi governerà davvero l’Unione. I consiglieri eletti in questo collegio sarebbero davvero i rappresentanti di tutti. Gli ebrei d’Italia messi insieme potrebbero costituire la popolazione di una piccola città, ma con una visibilità mediatica decisamente superiore; perciò, mentre in una piccola città è probabile che i problemi quotidiani prevalgano sulle grandi scelte politiche, per l’UCEI la funzione rappresentativa non è meno importante di quella amministrativa. Chi può essere la nostra voce davanti allo Stato e all’opinione pubblica? Se per ogni due ebrei ci sono tre opinioni, come si fa a rappresentare le opinioni di tutti gli ebrei italiani? Data l’importanza della sua funzione, mi sembra giusto che il presidente dell’Unione sia votato dal Consiglio e non dalla Giunta: si tratta di una persona che sarà più volte chiamata a rispondere a interviste, fare dichiarazioni, pronunciarsi sugli argomenti più disparati, quasi sempre senza avere la possibilità di consultarsi con altri. Però, proprio perché la sua funzione di rappresentanza è non meno importante di quella di governo, mi sembra che dovrebbe somigliare più a un presidente della Repubblica che a un premier. Di conseguenza non mi pare necessario che sia il presidente stesso a scegliere i componenti della Giunta; sarebbe più democratico se fosse il Consiglio ad eleggerli. La voce degli ebrei italiani dovrebbe essere la voce di una maggioranza significativa, non di una maggioranza risicata o, peggio ancora, di una minoranza che sia diventata maggioranza grazie al meccanismo elettorale. La bozza di modifica dello Statuto non dice con quale criterio saranno votati i 35 consiglieri eletti, ma questo è un problema che dovrebbe richiedere grandissima attenzione: il sistema attuale, in cui si votano i nomi e non le liste, risulta di fatto un maggioritario mascherato; sarebbe molto più democratico adottare un sistema proporzionale con voto di lista, specialmente se davvero si optasse per un collegio elettorale unico. In questo modo sarebbe più facile per tutti gli ebrei italiani mandare in Consiglio i propri rappresentanti e anche le opinioni di minoranza avrebbero il loro spazio. Non è detto che così l’UCEI sarebbe meno governabile: mi pare che l’attuale consiglio dell’Unione stia offrendo ottimi esempi di collaborazione tra persone elette in liste diverse; viceversa, la politica nazionale a volte ci dimostra che le coalizioni possono essere molto litigiose al proprio interno. Tra grandi, medi e piccoli, maggioranze e minoranze, è importante che tutte le voci abbiano la possibilità di farsi ascoltare: speriamo che il nuovo Statuto vada in questa direzione.
Anna Segre, insegnante Liceo Alfieri di Torino, Pagine Ebraiche, dicembre 2010