L’Unione per unire

Ma perché l’UCEI si chiama proprio “unione”? Certo, l’aspetto importante del nome è il fatto che si tratta dell’unione delle “comunità”, non dei singoli ebrei. Ma perché proprio “unione”? Cercando su Internet ho trovato i seguenti sinonimi: “abbinamento, accordo, aggregazione, amalgama, annessione, collegamento, complesso, comunanza, concordanza, connessione, fusione, giunzione, intesa, legame, matrimonio, mescolanza, miscela, miscuglio, unità, vincolo”, cui vanno aggiunti almeno come definizioni di entità collettive “associazione, federazione, società, confederazione, ente rappresentativo”. E però si è scelto “unione”, molto probabilmente in analogia ad altre intitolazioni burocratiche. Vi sono in Italia unioni dei comuni, della province, delle camere penali, degli istriani, dei ciechi, del lavoro… vorrei però provare a prendere sul serio questo nome da una prospettiva ebraica, soprattutto il suo aspetto attivo implicato nel suffisso (come “azione”, “orazione”, “visione”).
Il termine “yichud” che è, fra le traduzioni possibili la più vicina a questa dimensione d’azione, è un termine importante nella Kabbalah: allude all’amore coniugale, e, come spiega Moshé Idel in Kabbalah and Eros, Adelphi 2005, anche a quella dei lati maschile femminile del divino. La yichud divina, la sua unificazione – con tutta la carica di provocazione di questo termine rispetto alla nostra fede nell’unità del divino – è un tema dei Profeti, per esempio compare nel versetto di Zacharià (14,9) che ripetiamo in preghiere fondamentali come Alenu, ma anche del chassidismo, fin dal Baal Shemtov. Si parla però sempre di yichud divina, dando forse un po’ troppo per scontata l’unità del popolo ebraico. Forse potremmo pensare di leggere l’”unione” dell’UCEI in questo senso, come un compito affidato al vertice dell’ebraismo italiano, al di là del suo funzionamento burocratico-politico: unire l’ebraismo italiano. Che sia una speranza troppo utopica?

Ugo Volli, semiologo, Pagine Ebraiche, dicembre 2010