Congresso UCEI – “Violenza personale e istituzionale”
In un articolo sull’ultimo numero di Pagine Ebraiche, e in vista del Congresso dell’UCEI, scrivevo che “È arrivato il momento di uscire dalla trincea”, e vi tracciavo un quadro piuttosto amaro della coscienza etica e politica dell’ebraismo italiano; probabilmente, dicevo, sulla scia di quanto sta accadendo ormai da qualche decennio nella società italiana.
Rileggendomi a stampa, ho avuto un attimo di esitazione: forse ero stato esagerato. Ma il Congresso UCEI di Roma, appena concluso, mi ha fortunatamente rassicurato: non ero andato troppo lontano dal bersaglio. Ora sono più sereno.
Dire che chi ha assistito agli eventi ne è uscito sgomento è davvero un eufemismo. Si è stati testimoni di violenza personale, e nessuno l’ha stigmatizzata. E si è stati testimoni di un tentativo di violenza legale e istituzionale, complici consapevoli la gran parte dei delegati: pizzino alla mano, si pretendeva di andare all’elezione di quindici delegati su un totale di quindici candidati. E si è detto che così si sarebbe garantita, oltre alla sicurezza politica dei soci-contendenti, la ‘serenità’ della contesa. Magari anche grazie a una dissennata richiesta di votazione per acclamazione (scongiurata all’ultimo minuto dalla saggezza del presidente dell’assemblea, l’insigne giurista Giorgio Sacerdoti).
Per fortuna, un numero di cani sciolti, sprezzanti di ogni accordo bulgaro (ma nemmeno in Uganda si sarebbe osato…!), sono riusciti a garantire lo svolgimento democratico delle elezioni, presentando, fuori da ogni lista e da ogni pizzino, la loro libera candidatura. Il seguito è noto: chi era stato escluso dalle liste ‘ufficiali’ da qualche eccesso di dispotismo locale, si è ritrovato inaspettatamente fra i vincitori e chi aveva contato sul potere della lobby si è ritrovato, altrettanto inaspettatamente, fra gli esclusi.
La democrazia e la trasparenza è stata rispettata, magari soltanto per un caso, ma ciò è sufficiente a insegnare che cesarismo e pizzini non pagano.
Rimane il sapore amaro lasciato dall’incidente. Si è assistito a un totale disprezzo per le regole e per la gestione democratica della vita ebraica, e ciò proprio nel momento della sua massima espressione. È stata messa in scena la mancanza di rispetto per gli altri. E nessuno, da posizione autorevole, ha sentito il dovere di richiamare all’ordine la coscienza dell’assemblea e dei suoi singoli componenti.
È stato un gran brutto inizio, per un nuovo Consiglio.
Unica consolazione: le comunità piccole e medie (penalizzate dal nuovo Statuto, grazie ad accordi allucinati e a false speranze fatte circolare ad arte) da queste elezioni anarchiche sono uscite rafforzate, per l’ingresso inatteso di Giulio Disegni (Torino) e di Andrea Mariani (Trieste).
Dario Calimani, Venezia