interpretazione…

Nel commento alla Torah di Rashi compaiono ogni tanto delle parole in lingue non ebraiche (la’az), di solito il francese dell’XI secolo, che apparentemente sono state inserite dall’Autore per spiegare meglio il testo (a meno che non si pensi a qualche messaggio in codice). Come spesso succede nei testi classici, le spiegazioni che all’origine erano destinate a spiegare meglio, diventano loro spesse un problema interpretativo. Si aggiungano gli errori dei copisti e dei tipografi che deformavano l’originale, perché non capivano le parole straniere o le adattavano alla loro lingua; succedeva anche in Italia, dove le parole erano spesso molto simili, ma non uguali, con strani effetti. Le due parole straniere della parashà letta questo Shabbat sono esempi interessanti di questi sviluppi: La “casa del Faraone” in Bereshit 45:3, che apprende dell’arrivo dei fratelli di Yosef, non è secondo Rashi la casa in senso stretto, ma l’insieme delle persone che la compongono: “mesnada” in lingua straniera. Termine che deriva da maison, quindi è la casata, ma sappiamo che cosa è diventata la “masnada” in italiano. Più avanti al cap. 47:7 Yaacov benedice il Faraone; per Rashi è “la richiesta di pace, come è abitudine di tutti coloro che compaiono ogni tanto davanti ai re, “saluder”. In italiano è salutare, augurare la salute; in tal modo Rashi spiega che quando salutiamo in realtà benediciamo una persona, e quando benediciamo è come se salutassimo.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma