Il telepsicanalista di Tel Aviv abbatte le frontiere
Vi ricordate quando agli inizi degli anni novanta tutti pensavano, specialmente negli Stati Uniti, di essere pazzi o di avere qualche problema di natura psicologica? Ognuno correva ai ripari affidandosi con una certa diffidenza allo strizzacervelli di turno. Nella società odierna così labirintica, che predilige ai rapporti umani la totale anonimia, recarsi dallo psicoterapeuta per una seduta settimanale di analisi è ormai una pratica abituale, come anche la terapia di coppia è diventata nell’immaginario collettivo un rituale largamente diffuso che anticipa il divorzio.
L’elemento più peculiare di questa tendenza è la necessità di dover trovare a tutti i costi qualcosa che non vada in se stessi o negli altri. Se una persona pecca di coerenza lo si indica subito come bipolare, se si hanno reazioni inconsulte allora il nostro comportamento sarà per forza borderline. Non ci si rende conto che l’uomo tendenzialmente non può essere rinchiuso in anguste gabbie di razionalità e che per sua natura altro non è se non pura contraddizione.
La guerra dei sani contro i folli riesce a investire inevitabilmente anche l’ambito politico. Spesso quando viene raggiunto il limite di sopportazione, invece di ammettere la possibilità che la controparte possa avere un’opinione più o meno condivisibile, ma pur sempre legittima, si preferisce ridurre il tutto a un problema di sanità mentale: si parla dell’avversario politico come di una persona “fuori di testa”, che non si confronta con l’esame di realtà.
Certo è che in una società che dimostra sempre più una spiccata tendenza al pragmatismo, una serie televisiva incentrata sull’analisi psicologica dei personaggi come “In Treatment” appare quasi anacronistica. Mentre le altre serie sono caratterizzate in prevalenza da dialoghi rapidi e brucianti o da veloci sequenze d’azione, i ritmi di “In Treatment” sono cadenzati dalla stessa calma e moderazione che potremmo trovare in una rappresentazione teatrale. Entrati nell’ufficio dello psicoterapeuta Paul Weston, interpretato da Gabriel Byrne, ci si trova immersi nella vita dei suoi pazienti. Un viaggio lungo mezz’ora nei profondi recessi della mente umana, alle prese con meccanismi mentali di difesa, processi di rimozione, disturbi ossessivo compulsivi o da stress post traumatico. Le sedute, puntata dopo puntata, si svolgono per nove settimane dal lunedì al giovedì. Il venerdì è invece il dottor Weston ad andare a sua volta in terapia da un collega.
Come nella realtà di tutti i giorni anche i pazienti di Paul raramente vogliono conoscere tutta la verità e nient’altro che la verità su se stessi: cercano di divagare con fuorvianti digressioni sul loro passato, si colpevolizzano inutilmente o attribuiscono agli altri colpe inesistenti evitando generalmente di affrontare il fulcro dei loro problemi.
Questa pluripremiata serie televisiva americana, prodotta dalla emittente via cavo HBO, in realtà è a sua volta un adattamento dell’originale israeliano Be’Tipul, che in patria ha ottenuto indici d’ascolto altissimi. Non ci sono dati ufficiali sugli ascolti dei canali via cavo, ma è stata la prima serie disponibile in Vod (video on demand) nella tv israeliana, con milioni di visualizzazioni.
Il segreto del suo successo? Secondo lo scrittore e regista Hagai Levi (nell’immagine), giunto in Italia quest’estate per presenziare al Roma Fiction Fest, Be’Tipul prende in esame uno dei requisiti fondamentali per una società equilibrata, l’ascolto: “Oggi è diffuso il bisogno di essere ascoltati. Penso ai talk show televisivi, dove tutti parlano e nessuno ascolta. Un ascolto attivo e vibrante è già un passo verso la verità. In un’epoca di crisi le parole e gli effetti che producono, rivendicano più che mai la loro importanza”.
Non solo gli Stati Uniti, ma molti altri paesi sono attualmente alle prese con diversi tentativi di adattamento di Be’Tipul, tra questi la Serbia, l’Olanda, la Romania, il Portogallo, il Messico, la Russia, la Repubblica Ceca, l’Ungheria e la Germania.
L’Italia dal canto suo sta lavorando da più di un anno a una sua versione, realizzata dalla società di produzione Wildside fondata da Lorenzo Mieli, Saverio Costanzo, Mario Gianani, Fausto Brizzi e Marco Martani. La fiction dovrebbe andare in onda su Rai 4, nuovo canale in digitale della RAI e un team di sceneggiatori è già a lavoro per adattare i personaggi e le situazioni ai gusti e alle abitudini del pubblico italiano. Il cast, non ancora ufficiale, sarà composto principalmente da attori nostrani e tra questi spicca il nome di Nanni Moretti.
Ad oggi non è però chiaro quale ruolo interpreterà l’irriverente attore e regista, anche se in un primo momento le voci lo vedevano vestire i panni del dottor Paul Weston, lo psicoterapeuta alle prese con i drammi esistenziali dei suoi pazienti. Secondo invece le dichiarazioni di Hagai Levi, il regista di Caos Calmo potrebbe vestire i panni di un super agente antimafia sotto stress per le continue missioni, ruolo che farà da contraltare a uno dei discussi personaggi della versione americana: Alex, giovane pilota della marina reduce da una missione in Iraq.
Michael Calimani