Hatzèr – Italia, Europa, Mondo
La parola Europa non compare mai nello statuto dell’ebraismo italiano; Israele tre volte, ma in modo vago; per il resto solo due accenni alla diaspora. Può sembrare un paradosso, ma se ci si pensa è il segno di una intrinseca debolezza che va superata con un paziente lavoro di ripensamento della nostra collocazione geo-culturale. Gli ebrei italiani hanno rivisto il loro statuto guardando fisso al proprio ombelico e senza darsi gran cura di alzare lo sguardo al mondo. Non è – sia detto per chiarezza – che manchino contatti a livello internazionale. Studiosi ed esponenti delle organizzazioni ebraiche visitano regolarmente le nostre istituzioni. Migliaia di turisti visitano con piacere i nostri luoghi di cultura e si avvicinano con autentica sorpresa a “scoprire” dell’esistenza di comunità ebraiche italiane (magari stupendosi perché non capiamo l’yiddish). La cultura italiana è letteralmente stregata dalla letteratura israeliana, e i vari Grossman, Oz o A.B. Yehoshua vivono più da noi che in Israele. Insomma, non è che siamo isolati, non è questo il problema, e non potrebbe esserlo: in fondo siamo storicamente comunità di immigrazione, metà degli ebrei a Milano parlano meglio il francese o l’ebraico dell’italiano, e l’ebraico (consideriamolo una fortuna e un valore!) sta diventando lingua ampiamente diffusa fra la nostra gioventù. Insomma, non siamo “provinciali”, siamo donne e uomini di mondo, viaggiamo e abbiamo buoni contatti in ogni dove. Eppure le nostre istituzioni stentano a pensarsi in prospettiva per lo meno europea. Non mancano contatti con lo European Jewish Congress o con il Maccabi, un italiano siede nel board del World Jewish Congress, ma esistono anche altri organismi importanti che ci ignorano completamente, come noi ignoriamo loro: lo European Council of Jewish Communities, lo Euro-Asian Jewish Congress, lo European Jewish Fund, lo European Center for Jewish Students e ce n’è altri di più specifici. Raramente i loro siti web rimandano al nostro Moked, mentre le nostre istituzioni hanno solo vaghe idee sulla loro esistenza e struttura.
Le ragioni di questa situazione sono certamente molteplici, non ultima la nostra distorta idea del hatzèr, che ci vede ancorati alle realtà locali e a una particolare idea di storia, senza tener conto che i nostri avi erano forse più mobili di noi, di certo meno chiusi. Tuttavia in un mondo grande, in cui l’intera Italia ebraica rientra – in un’ottica globale – nel concetto di comunità “diversamente grandi” di cui si è discusso a congresso, l’istituzione UCEI dovrebbe collegarsi strutturalmente con maggior decisione alle organizzazioni d’oltralpe. Le piccole comunità già lo fanno: Trieste da tempo fa da madrina alle comunità di Slovenia e Croazia e guarda naturalmente ad Est; Venezia si va gemellando con Monaco di Baviera, e forse altre iniziative sono già in atto altrove: seguirne l’esempio non farebbe male e ci aiuterebbe ad aprire gli orizzonti.
Gadi Luzzatto Voghera