Comunicare i valori degli ebrei italiani

Nel rivolgere i più calorosi auguri al nuovo Consiglio dell’UCEI, e al rinnovato Presidente Renzo Gattegna – che certamente traghetteranno l’ebraismo italiano verso sempre più ambizioni traguardi, con grande beneficio dell’intero Paese, che tanto deve a questa sua antichissima comunità -, mi permetto, dall’esterno, di formulare alcune considerazioni riguardo ai possibili modi per far fronte alle pressanti esigenze economiche dell’Unione, a ciò sollecitato da un intervento di Claudio Vercelli pubblicato sull’ultimo numero di Pagine Ebraiche. Si segnala, in tale contributo, che il numero dei contribuenti italiani che, nell’assegnazione dell’Otto per mille, optano per l’UCEI, è considerevolmente superiore al numero degli iscritti alle varie Comunità: un fatto che va interpretato come incoraggiante segnale di attenzione e simpatia verso la realtà ebraica, anche da parte di persone ad essa esterne. Fra l’altro, nota ancora Vercelli, tale “già ragguardevole cifra di contribuenti potrebbe essere ulteriormente aumentata se la comunicazione riuscisse a raggiungere quanti costituiscono potenziali simpatizzanti senza che per questo riescano ancora a cogliere appieno la strategicità di una loro opzione fiscale”.
Tali affermazioni colgono senz’altro del segno. È da ritenere, infatti, che l’alta percentuale di opzioni per l’Otto per mille a favore della Chiesa cattolica non rispecchi né la percentuale dei cattolici osservanti, né quella dei soggetti che nutrono per la Chiesa, al di là della personale fede religiosa, una particolare fiducia e considerazione, ma rifletta, piuttosto, la percentuale – purtroppo molto alta – di persone che hanno assai scarsa fiducia nello stato, e che sono perciò disponibili a optare per chiunque altro, ma non per esso. È molto diffusa nel Paese, infatti, l’associazione – quantunque venata di qualunquismo – tra stato e malversazione, inefficienza, ruberie ecc., tanto che non pochi contribuenti, quantunque non dichiaratamente cattolici, o addirittura atei o anticlericali, preferiscono assegnare l’Otto per mille alla Chiesa cattolica – verso la quale, nel sentire comune, i motivi di critica e insofferenza non sono pochi, ma generalmente non collegati a quest’idea di spreco e disonestà -, pur di non darlo a “Roma ladrona”. Fra questi contribuenti, non cattolici né filo-clericali, ma, per così dire, “anti-stato”, molti sicuramente opterebbero volentieri per l’UCEI, se solo sapessero di essa – della sua storia, della sua realtà, delle sue realizzazioni, dei suoi obiettivi – qualcosa di più rispetto a quel pochissimo che emerge dall’informazione pubblica. Perché, se gli italiani, sanno, più o meno, cos’è l’ebraismo e chi sono gli ebrei (ma, non nascondiamocelo, anche fra gli “addetti ai lavori” le opinioni, al riguardo, non sono certo univoche), dell’UCEI sanno davvero pochissimo. E, in questa non voluta ignoranza, l’Unione viene vista fondamentalmente come un’altra Chiesa, la struttura organizzativa di un diverso culto religioso. E perché finanziare un culto in cui non ci si riconosce? Molto più immediata e istintiva la scelta a favore della Chiesa, che quantunque abbandonata, o lontana, resta comunque la vecchia Chiesa di sempre, dei genitori e dei nonni, ben chiara e riconoscibile nella sua identità.
Un suggerimento, dunque, ai nuovi Consiglieri? Investire in pubblicità riguardo alla realtà dell’UCEI, alla sua dimensione civile, laica, culturale, progettuale. E farlo, soprattutto, con continuità, non solo nell’approssimarsi della scadenza della dichiarazione dei redditi. Sarebbero soldi ben spesi, che, c’è da scommetterci, tornerebbero moltiplicati.

Francesco Lucrezi, storico