Made in Usa – Kosher Chinese on 25th

Cosa fa un ebreo americano la notte di Natale? Niente di più ovvio, va a cena al ristorante cinese. Un’inveterata tradizione degli ebrei newyorkesi si è ormai diffusa in occidente.
Quando i vicini di casa sono impegnati nel cenone del 24 dicembre, le metropoli occidentali diventano città fantasma: strade deserte, locali chiusi, insegne spente, silenzio totale. Le uniche isole nel silenzio urbano del veglione sono i ristoranti cinesi. Se non sei stato invitato a una cena di Natale, non ci sono molti altri posti in cui rimediare una pasto caldo.
Il giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti Elena Kagan (nell’immagine in alto) non sfugge alla regola: durante una recente audizione parlamentare le è stato domandato dove avesse trascorso l’ultima notte del 24 dicembre: “Ovvio, al cinese, come tutti gli ebrei”.

Kosher Chinese on Christmas è talmente popolare che il cantante statunitense Brandon Walker ci ha realizzato anche un orecchiabile motivetto e un video spassoso.
Ecco perché un tipo che è altamente probabile incontrare durante una festività cristiana a Chinatown, Manhattan è un ebreo ashkenazita che consuma una cena cantonese take away. È un meticciato culturale interessante: nessuna delle tradizioni che si incontrano in questa moda newyorkese è perduta; piuttosto esse combinandosi tra loro, danno luogo a curiose abitudini creole, terreno del confronto culturale. È semplice acquistare il chalav israel, il latte kasher di provenienza israeliana, a Shangai, tanto quanto mangiare kasher in un ristorante cinese di Londra.
E proprio a Londra, passeggiando la sera in Church road, zona nord, è facile imbattersi in gruppi di ebrei ortodossi che festeggiano un bar mitzvah o un matrimonio da “Kaifeng, Glatt Kosher Chinese Restaurant”, un posto elegante e abbastanza dispendioso, molto in voga nella comunità ebraica della capitale inglese. Funziona anche come take away: perfino alle migliori yiddish mame capita di avere il frigorifero vuoto, e un cartoncino di spaghetti di soia da asporto è sempre una buona soluzione per soddisfare una famiglia affamata.
Kaifeng è anche il nome di una città cinese – uno dei massimi porti fluviali della via della seta. Nel nono secolo era uno dei centri abitati più grandi del mondo. Vi risiedeva una numerosa comunità ebraica, citata anche nei diari di Marco Polo, il quale si stupì di incontrare degli ebrei in mezzo alla Manchuria nel 1286. Sprovveduto! La globalizzazione era cominciata già da un pezzo.
Anche gli ebrei, dunque, hanno le loro tradizioni natalizie. Non disperino dunque tutti i bambini i cui amichetti delle scuole pubbliche ricevono i regali da Babbo Natale. Non tanto perché loro in cambio avranno una cena cinese, quanto perché gli ebrei non sono più soli: anche i loro compagni con gli occhi a mandorla non festeggiano il Natale.
Proprio il loro comune non essere cristiani – sostengono i sociologi che si sono occupati dell’argomento – è stato il fattore che ha determinato l’avvicinamento tra gli immigrati ebrei in America e quelli cinesi. Negli anni settanta e ottanta dell’Ottocento, a New York, mentre arrivavano flussi migratori ingenti dalle comunità ebraiche europee, si diffondevano i ristoranti cinesi. Con l’arrivo del ventesimo secolo, gli immigrati ebrei di seconda generazione iniziavano ad aprirsi alla società esterna: uno dei gruppi con cui ebbero più facilità a stabilire rapporti furono proprio i cinesi. Anch’essi una minoranza, per lo più povera, spesso oggetto di intolleranza da parte dei bianchi, trovarono velocemente una buona intesa con gli ebrei più aperti. Mangiare cibo cinese divenne una moda: era un’abitudine molto urbana e sofisticata, ma allo stesso tempo economica. Per molti assunse il significato di trasgressione, di emancipazione dal provincialismo delle famiglie ebraico-contadine della Russia zarista. Nacque il detto ‘safe treyf’, non kasher ma sicuro, non proprio kasher ma un po’ meglio della cucina occidentale. Quest’espressione testimonia la predilezione della cucina cinese da parte degli ebrei. In un romanzo di Herman Wouk, scrittore e premio Pulitzer newyorkese, il cibo cinese è la metafora degli sforzi di una giovane attrice ebrea di assimilarsi. Così è stato vissuta l’infedeltà alla cucina yiddish della nonna.
Oggi è addirittura il contrario. Gli ebrei americani in conflitto con le loro radici – categoria sempre molto nutrita – non vanno al ristorante cinese perché è una tradizione troppo ebraica: hanno certamente ricordi infantili di pranzi di famiglia a base di riso e soia. Il safe treyf è diventato quasi uno stereotipo dell’identità ebraico newyorkese, anche se da quasi mezzo secolo ci sono anche molti cinesi kasher con camerieri pechinesi che parlano un ottimo ebraico.
“Io sono ghiotto di pollo alle mandorle”, racconta Daniel, studente ebreo della Columbia University con il gusto del pettegolezzo: “l’ultima volta che sono andato al mio kosher chinese preferito, di fianco mi sedeva lo scrittore Philip Roth”. “Era in dolce compagnia”.

Manuel Disegni