Facebook – Time incorona Mark Zuckerberg uomo dell’anno
Cinquecentocinquanta milioni di persone. Un ex studente di Harvard ha creato in sette anni la terza nazione più popolosa del mondo dopo Cina e India. Una nazione virtuale in cui la cittadinanza si ottiene in modo facile e immediato. Niente ius sanguinis o ius soli, basta avere una connessione per far parte di Facebook, il social network che ha rivoluzionato il mondo della comunicazione. E per questo il suo creatore Mark Zuckerberg, classe 1984, è stato recentemente nominato dal Time, nota rivista britannica, ‘Uomo dell’anno’. “Questa nomina non è e non è mai stata un onore – spiega il direttore del Time Richard Stengel – ma è il riconoscimento del potere di alcuni individui nell’influenzare il nostro mondo”.
Facebook è, assieme a Google, il sito che registra il maggior numero di visite giornaliere in assoluto. Ha fatturato nel 2009 oltre 600 milioni di dollari e l’impero è in costante crescita. Tutto in mano a un ragazzo di ventisei anni, passato da genio sfigato dei computer a miliardario da copertina. La sua scalata verso il successo è stata raccontata, con qualche imprecisione, nel film The Social Network, uscito in Italia ai primi di novembre. Dalla pellicola hollywoodiana emerge la figura di un Zuckerberg presuntuoso, arrogante e con una sorta di complesso di inferiorità nei confronti dell’elite americana. Come recita una battuta del film, “Mark tu non sei un bastardo, ma fai di tutto per sembrarlo”.
Non la pensano così i suoi dipendenti reali, che parlano di una persona piacevole, allegra e soprattutto ne condividono fermamente la vision, la propensione verso il futuro. In un lungo articolo del Time, uno dei suoi collaboratori confida che, prima di ottenere il lavoro, considerava Facebook una cavolata commerciale che violava la privacy. “Ma dopo il primo colloquio – ricorda il dipendente in questione – tutti i miei pregiudizi sono caduti e ho sposato interamente la causa Facebook”.
L’idea principe di Zuckerberg (nell’immagine a fianco colto in un momento di vita quotidiana con indosso una tshirt con su scritto “tutti amano un ragazzo ebreo”) è cercare di mettere in comunicazione le persone fra di loro. Permettere che gli ‘amici’ condividano esperienze, sensazioni, immagini, video e quant’altro. Persino lo spazio di lavoro del quartier generale di Facebook a Palo Alto incarna il concetto di abbattere le barriere: centinaia di persone lavorano in una stanza enorme senza divisioni; una sorta di arcipelago di scrivanie in cui ciascun dipendente, alzando la testa dal suo computer, può osservare i colleghi lavorare. Giochi da tavolo, playmobile giganti, palloncini creano un universo rilassato in cui probabilmente qualsiasi giovane, e non solo, vorrebbe lavorare. La formalità non è di casa; Zuckerberg spinge sulla creatività e l’ambiente che ha creato attorno a sé ne è la dimostrazione.
Ha un modo di fare schietto, profondamente razionale e spesso disarmante. “Ti guarda sempre negli occhi – scrive il giornalista del Time Lev Grossman – ti ascolta. Nel film emerge come una persona con un radicato senso di superiorità ma non è così. Sembra più che altro che stia costantemente sulla punta dei piedi nella ricerca di scovare qualcosa laggiù, lontano”.
Uno dei nuovi progetti dell’industria Facebook trova il suo fondamento nella serepidità (neologismo indicante la sensazione che si prova quando si scopre una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un’altra – da Wikipedia). “Una fortunata coincidenza – afferma Zuckerberg – è andare al ristorante e imbattersi in un amico che non vedevate da tempo. Una fantastica occasione fortuita. Sembra quasi un evento magico è questo perché non capita spesso. Ma penso che in realtà tali circostanze non siano effettivamente rare. Probabilmente non sfruttiamo il 99 per cento di questi avvenimenti. La maggior parte delle volte tu e quel tuo amico siete nelle stesso ristorante, o ne sei uscito poco prima o ancora lui è in quello di fronte, ma semplicemente non lo sapete”. L’idea di Zuckerberg è di dare la possibilità, attraverso Facebook, di mappare la propria posizione così gli amici sapranno dove sei e potranno raggiungerti facilmente. “Un modo per render la propria vita più ricca – spiega Mark – per mantenere le relazioni sociali e le amicizie più strette”.
Una filosofia che non si addice a un sociopatico arrogante ma più a un’idealista della condivisione. E Facebook è la patria della condivisione.
Daniel Reichel