Harry Houdini, il figlio del rabbino che incantava il mondo
Una grande mostra allestita dal Jewish Museum di New York appassionerà questo inverno i visitatori. Fra i misteri del misteri del mitico mago Harry Houdini, il figlio del rabbino che tenne per decenni il mondo con il fiato sospeso, l’intreccio fra la sua arte e l’identità ebraica è forse il più affascinante. All’anagrafe Erik Weisz, Houdini nacque nel marzo del 1874 a Budapest in Ungheria. All’età di quattro anni si trasferì con la famiglia negli Stati Uniti: qui il nome viene parzialmente modificato per allinearsi alla lettura anglosassone, da Erik a Ehrich Weiss. La famiglia si stabilisce prima ad Appleton, nel Wisconsin, dove il padre Mayer Samuel Weiss presta servizio come rabbino nella locale congregazione ebraica riformata. Poi nel 1887 Mayer si trasferisce a New York con il piccolo Erik; qui vivono in una pensione sulla settantanovesima strada, fino a quando la famiglia non sarà in grado di riunirsi in un alloggio definitivo. Il giovane e aspirante mago Erik Weiss, in arte Harry Houdini, non materializzò il nome che lo renderà famoso dal nulla. Seguendo una tradizione consolidata nei circoli di maghi e illusionisti, il suo nome rende omaggio al suo predecessore Jean Robert-Houdin, prestigiatore di cui era un fervente ammiratore. L’aggiunta della “i” alla fine del cognome è anch’essa riconducibile a una tradizione: un richiamo velato al grande illusionista italiano del 18esimo secolo Giovanni Giuseppe Pinetti, contemporaneo e assiduo frequentatore del celeberrimo Cagliostro. Il nome Harry, d’altro canto, è semplicemente un adattamento del soprannome poco americano “Ehrie”, con cui veniva chiamato da ragazzino.
Houdin, nato a Blois nel 1805, è da molti considerato il più grande illusionista di tutti i tempi e il padre della moderna prestidigitazione. Orologiaio e figlio di orologiai, Jean Eugene Robert, si interessò da subito di meccanica studiando gli ingranaggi complessi degli orologi che il padre per mestiere riparava e costruiva. La passione per la magia e le arti illusorie lo colse per puro caso sotto forma di due grossi volumi di magia bianca e fisica dilettevole che Jean Eugene ricevette per sbaglio al posto di due libri sull’orologeria.
Il numero che caratterizzò maggiormente la sua carriera non era altro che una rivisitazione del trucco intitolato Second Sight, letteralmente seconda vista, nel quale il figlio, intervenuto sul palco e bendato, identificava correttamente gli oggetti che il padre reperiva tra il pubblico. Il valore del numero non era però legato all’originalità dello stesso o per la sua complessità nel realizzarlo, ma per le modalità con le quali Houdin, abile showman, lo metteva in atto. Una capacità, quella di galvanizzare il pubblico, che ritroviamo anche nel suo degno successore, Harry Houdini, famoso per reinterpretare e spettacolarizzare grazie al suo ingegno, i numeri di prestigio di coloro che l’avevano preceduto. Probabilmente fu proprio questo elemento in comune tra i due che spinse, più tardi, Harry Houdini a cambiare in modo radicale il suo pensiero nei confronti del famoso predecessore.
Nel 1908 il giovane illusionista fece infuriare i professionisti del settore con la pubblicazione del volume The Unmasking of Robert- Houdin, un mordace attacco in cui il prestigiatore francese veniva definito “un mero impostore, un uomo che specula sull’ingegno e il lavoro degli altri” e dove venivano svelate le origini della maggior parte dei trucchi di Robert Houdin. L’estremo zelo di Houdini nello screditare totalmente il suo celebrato predecessore sembra però avere più di una spiegazione plausibile. Di certo il suo comportamento è in linea con la volontà di intraprendere una vera e propria guerra contro i suoi imitatori per cui non provava che un sentimento di disprezzo, ma per altri versi può essere invece interpretato come l’espressione più sincera del suo ego, del suo disperato bisogno di elevarsi al di sopra di ogni altro illusionista, anche del passato.
Nel 1893 Harry Houdini incontra Wilhelmina Beatrice “Bess” Rahner, anch’ella illusionista, che sposò dopo un corteggiamento durato solo tre settimane. Bess ricoprirà un ruolo fondamentale nella vita professionale di Houdini, diventando la sua personale assistente di scena per l’intera durata della sua carriera.
Agli inizi della sua carriera Houdini studiò i giochi di carte e le arti illusionistiche tradizionali, autoproclamandosi “re delle carte”, ma la grande occasione per dimostrare il suo talento innato arrivò solo nel 1899, quando incontrò lo showman Martin Beck. Beck rimase talmente impressionato dalla maestria con la quale Houdini riusciva a liberarsi da un paio di manette, che gli consigliò di abbandonare la carriera del prestigiatore ordinario e di concentrarsi sullo studio dell’escapologia e inserì i suoi numeri in un circuito di spettacoli di varietà. Nel giro di pochi mesi Houdini si esibì nei principali teatri degli Stati Uniti per poi andare alla conquista dell’Europa. Quando ritornò nel 1904 negli Stati Uniti, il suo nome era ormai diventato leggenda.
Nel primo ventennio del ‘900 Houdini si esibì con grande successo nei teatri di tutto il mondo presentando i numeri che lo renderanno un mito: quello della Metamorfosi, nel quale Harry cambiava istantaneamente posto con la moglie Bess rinchiusa in un baule, quello soprannominato The Milk Can, che lo vedeva liberarsi da un bidone metallico pieno di liquido, infine il celeberrimo numero della tortura cinese dell’acqua (o pagoda della tortura cinese), nel quale veniva calato testa in giù, con manette ai polsi, in una cabina trasparente piena d’acqua, chiuso con lucchetti e cinto da corde. In questa scomoda posizione e senza respirare, Houdini doveva trovare la forza per liberarsi prima di morire soffocato. Tutti questi numeri erano come sempre accompagnati dalla grande presenza scenica di Houdini, vero trascinatore di folle, con una spiccata capacità nel creare ogni volta la giusta atmosfera. Dopo la morte della madre, Houdini dedicò le sue energie a smascherare medium e parapsicologi. Houdini era solito recarsi nelle città in cui doveva tenere uno spettacolo con uno o due giorni di anticipo; indossando un travestimento faceva visita ai medium più famosi della città e chiedeva di contattare famigliari mai esistiti. Appena i medium cominciavano a raccontare dettagli su questi parenti immaginari Houdini li registrava come ciarlatani. Poi, la sera dello spettacolo, Houdini rivelava le sue visite ai medium della città e raccontava per filo e per segno gli imbrogli di cui era stato vittima. Houdini entrerà a far parte anche del comitato di indagine sui fenomeni paranormali dello Scientific American, una delle più antiche e prestigiose riviste di divulgazione scientifica. In lui il confine tra illusionismo e vera magia risultò sempre piuttosto labile. Basti pensare che Sarah Bernhardt gli chiese di sfruttare la sua magia per farle ricrescere la gamba amputata, o che il presidente Roosevelt, sconvolto dai numeri di lettura del pensiero, si convinse che quell’uomo doveva per forza di cose possedere poteri paranormali. Per quanto riguarda invece le sue fantomatiche fughe, Conan Doyle, il padre di Sherlock Holmes, era fermamente convinto che Houdini riuscisse a scampare da ogni situazione grazie al dono della smaterializzazione. E alcuni elementi inspiegabili di certo permangono ancora oggi, come il famoso trucco dell’albero d’arance, portato alla ribalta nel corso del XIX secolo dall’illusionista francese Robert Houdin, che venne poi replicato da molti altri illusionisti e dallo stesso Houdini, che nella sua versione del numero fu l’unico a utilizzare arance vere e non artefatte, una variante la cui esecuzione è ancora oggi avvolta nel mistero.
Il 31 ottobre del 1926 Houdini muore di peritonite all’età di 52 anni. Due settimane prima aveva infatti subito un colpo all’addome, causato da uno studente della McGill University a Montreal, che mettendo alla prova i leggendari addominali dell’illusionista lo colse di sorpresa. Dal giorno della sua morte, avvenuta alla vigilia di Halloween, molti furono i medium che affermarono di essersi messi in contatto con lo spirito di Houdini, ma nessuno tuttavia riuscì mai a fornire la minima prova. Di reale e accreditato rimane soltanto un’amara battuta dello stesso Harry Houdini, che interrogato sulla vita dopo la morte affermò: “Se c’è qualcuno che è in grado di fuggire dal mondo dei morti, quello sono di certo io”.
Michael Calimani, Pagine Ebraiche, dicembre 2010