“L’autismo è maschio”, spiega il cugino di Borat
“Chiedete a Simon Baron-Cohen perché la stragrande maggioranza degli autistici sono maschi e lui vi risponderà che nascere uomo significa soffrire di una forma leggera di autismo”: parole di Paul Bloom, docente di psicologia a Yale. Simon Baron-Cohen è considerato l’autorità mondiale in materia di autismo. Docente di psicopatologia all’Università di Cambridge nel Regno Unito, incidentalmente è anche il cugino di quel Sacha Baron-Cohen che interpreta Borat, Bruno, Ali-Gi e altri improbabili personaggi comici. Intervistato da Pagine Ebraiche, smentisce la citazione sulla popolazione maschile mondiale che soffre di una forma leggera di autismo, ma conferma che la teoria della “extreme male brain” è sua: gli autistici hanno quello che si può definire “un cervello estremamente maschile”. Lo dimostrano decenni di ricerche dirette da Baron-Cohen, che ha trascorso gli ultimi 30 anni a studiare le differenze psicologiche tra i sessi, applicandole al caso degli autistici.
Come sono cominciate le sue ricerche?
Negli anni Ottanta i miei colleghi ed io abbiamo scoperto che i bambini autistici avevano una difficoltà specifica nell’immaginare quello che sta nella testa delle altre persone, quello che io definisco “cecità mentale”: per loro esiste solo la loro prospettiva e questo porta complicazioni sociali.
E la teoria del “cervello estremamente maschile”?
Negli anni Novanta ho fatto una connessione specifica tra le tipiche differenze mentali tra i sessi e l’autismo, che rappresenta un profilo maschile estremo. Questa è la teoria del “cervello estremamente maschile”. Nella popolazione generale infatti, le femmine tendono in media ad avere una maggiore empatia e i maschi un interesse maggiore nei sistemi. Nell’autismo abbiamo un’empatia al di sotto della media e un interesse nei sistemi intatto o inusitatamente forte, fino all’ossessione.
Adesso state monitorando i feti.
Recentemente i miei colleghi ed io abbiamo identificato un legame tra il testosterone fetale e lo sviluppo sociale e linguistico, dunque all’empatia, la sistematizzazione e i tratti autistici. Ora stiamo facendo test per verificare se livelli elevati di testosterone fetale costituiscono un fattore di rischio per l’autismo.
La ricerca porterà a una cura per l’autismo?
La ricerca è sempre più circoscritta, si va alla ricerca dei circuiti celebrali, delle proteine e alla fine dei geni che causano l’autismo. Una cura potrebbe essere trovata, ma non in tempi brevi. Del resto dal punto di vista etico si può dibattere se vogliamo veramente curare tutte le forme di autismo. Io favorirei il trattamento di alcuni aspetti penalizzanti dell’autismo, lasciando però fiorire gli aspetti positivi.
Quali sono i preconcetti più diffusi sull’autismo?
Che gli autistici siano tutti muti, che evitino il contatto con gli occhi o i rapporti sociali. In realtà l’autismo è uno spettro continuo in cui alcune persone hanno buone capacità linguistiche e ricercano molto contatto sociale e in cui l’autismo è più sottile, per esempio con difficoltà nell’empatia.
Film come Rain Man e libri come Lo Strano caso del cane ucciso a mezzanotte rappresentano gli autistici come dei geni matematici.
Il rischio opposto infatti è proprio quello di vedere tutti gli autistici come persone di talento. Questo può essere vero di molte persone con la sindrome di Asperger (una forma particolare di autismo, nda), ma non è universale nell’autismo. Con l’eccezione dell’attenzione al dettaglio in cui molti autistici eccellono.
Che cosa ne pensa della fuga dei cervelli dall’Europa?
Non lo vedo come un problema, perché la scienza non ha confini. La scienza è internazionale.
Da Freud a Berkowitz, molti degli psicologi più importanti sono ebrei. Cosa ne pensa?
Non è vero solo degli psicologi. Gli ebrei eccellono in modo sproporzionato al loro numero in molti campi, inclusi la musica, la fisica, la medicina e il cinema.
Credo che abbia a che vedere con il modo in cui i genitori ebrei fanno sentire i loro figli importanti, che instilla una certa sicurezza in sé durante lo sviluppo. Con la tradizione ebraica di fare domande ed essere aperti a tollerare domande diverse e con l’enfasi ebraica sull’educazione che è più importante dei beni materiali. Poi c’è il sentimento ebraico di essere parte di una lunga storia o tradizione che include artisti e intellettuali.
Qualcuno ha anche detto che i secoli in cui gli ebrei non hanno potuto avere icone visuali possano averli incoraggiati a essere più interessati in materie astratte, come il linguaggio e le idee. Ogni volta che vado in sinagoga sono impressionato da come il popolo del libro dia valore ai rotoli che hanno conservato nei secoli, amando la cura di un testo scritto a mano.
Lei è il cugino di quel Baron-Cohen che fa Borat. Che effetto fa?
Ammiro il suo umorismo, che ha una dimensione seria, che espone gli aspetti della società che spesso non vediamo. Sospetto che i nostri rispettivi lavori abbiano qualcosa in comune, nonostante le differenze superficiali. Per esempio, il film Borat ha rivelato il razzismo che esiste anche nell’Occidente sviluppato, e il mio ultimo libro (che sarà pubblicato da Penguin nel maggio 2011) tenta di esplorare la crudeltà umana.
Anna Momigliano, Pagine Ebraiche 2010