Davar Acher – Un inizio, tanti inizi

Vale forse la pena di fare ancora una piccola riflessione postuma sul capodanno appena trascorso, che è originariamente una festa cristiana ma ha da tempo perduto il suo carattere religioso, diventando una festività civile e soprattutto l’occasione di un nodo di pratiche sociali che mettono in luce alcuni fra i più rilevanti aspetti veramente rituali delle società occidentali: una ritualità pagana, peraltro, o piuttosto ateista. E’ infatti perfettamente possibile una religione atea, un rito senza divinità e senza teologia, e infatti essa oggi è diffusissima, anche al di là della formula “new age”, per esempio sotto forma di astrologia, divinazioni varie, terapie paramediche in sostanza magiche e piccole superstizioni diffuse. Sono pratiche rituali compiute senza pensarci e senza bisogno di fede in senso forte. Il loro motto è il crociano “non è vero ma ci credo”. Queste forme religiose atee spesso sostituiscono le religioni vere e costituiscono la sola evanescente proiezione metafisica degli individui, altre volte vi convivono parassitariamente. Il caso più evidente è quello dell’astrologia: com’è noto, in tempi molto meno desacralizzati dei nostri, toccò al Rambam spiegare in un celebre responso alla comunità yemenita, tradotto anche in italiano qualche anno fa, il carattere idolatrico di questa pratica divinatoria – senza riuscire peraltro a eliminare del tutto queste credenze dal mondo ebraico.
Il tema comune di queste credenze è la capacità di un’influenza automatica ma qualitativa, non puramente materiale, di elementi dell’universo dotati di poteri magici “oggettivi”, cioè non personali: pianeti, costellazioni, ma anche gemme, alimenti, fiori, cornetti, legni o ferri da toccare, amuleti ecc. Sarebbero manifestazioni di “poteri” non riducibili al quadro meccanico della scienza occidentale, ma neppure alla volontà divina, che agirebbero (o sarebbero percepibili) soprattutto nel tempo, per esempio fissandosi nel momento della nascita, nei capodanni ecc. Non trattandosi di persone, ma di forze impersonali, non si potrebbe avere un rapporto dialogico con loro (è impossibile pregare un segno zodiacale), ma solo forme di conoscenza iniziatica e di manipolazione magica. E’ evidente come questa concezione del mondo sia idolatrica o piuttosto feticista e incompatibile col monoteismo ebraico – anche se tracce di superstizione non mancano nel nostro mondo, per esempio deformando in senso superstizioso certe formule di benedizione o certi segni come le mezuzot, al cui deterioramento o imperfezione di scrittura vengono attribuiti i più svariati effetti negativi.
L’ebraismo, si dice spesso, abita e valorizza il tempo piuttosto che lo spazio. E’ un’idea solo parzialmente sostenibile, data l’importanza nella nostra tradizione di elementi tipicamente spaziali come la Terra d’Israele con le sue suddivisioni o l’organizzazione architettonica del Mishkan e poi del Beit haMikadash. Lo si dice per sottolineare la spiritualità ebraica; ma vi può essere anche una valorizzazione superstiziosa del tempo (e pure della scrittura, altro elemento ebraico per eccellenza). E’ forse anche per questa ragione, per evitare un’idolatria del tempo e del suo punto iniziale, che il nostro capodanno, come tutti gli ebrei sanno (ma raramente vi riflettono) non è uno ma quattro: il 1 di Tishrì, anniversario della creazione dell’uomo che è quello celebrato con la festa di Rosh Hashanà; ma anche il 1 di Nissan (“capo” del “primo dei mesi” come comanda la Torah, il mese della nostra liberazione e costituzione come popolo, dunque un capodanno politico-religioso); Tu biSchvat, capodanno degli alberi, risveglio della natura in Eretz Israel; e infine il 1 di Elul, il meno ricordato di tutti, in cui si concludeva il ciclo “economico” della decima degli animali, il capodanno fiscale in cui si regolavano i debiti, com’è giusto prima dell’inizio del periodo di espiazione degli Iamim noraim.
Quattro capodanni, è un’esagerazione, una piccola inflazione, che come tutte le inflazioni toglie qualche valore al suo oggetto, lo banalizza. Forse i maestri della Mishnà che hanno fissato queste quattro date intendevano proprio questo, togliere peso al tempo ciclico dell’anno, impedirne l’idolatria, mostrare che vi sono tanti inizi e che quel che conta è la continuità, la capacità di tenere in mano i diversi aspetti della vita e di toglierli alla meccanicità del ciclo cronologico e al “destino” per infondere loro un senso umano.

Ugo Volli