L’intervista all’inizio
del secondo mandato
“Sempre aperti al confronto”

La sua relazione è stata votata pressoché all’unanimità dal Congresso. E la nomina alla presidenza dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha strappato anch’essa un consenso sostanzialmente unanime, con 17 consensi e un’unica scheda bianca. Renzo Gattegna, che già aveva retto il timone dell’ebraismo italiano negli ultimi quattro anni, si appresta così a un ulteriore mandato che sarà contrassegnato dalla profonda riforma sancita dal nuovo Statuto che rivoluzionerà l’assetto tradizionale delle istituzioni ebraiche. E in questa delicata fase rinnova con forza l’impegno a essere il presidente di tutti.
“In quest’incarico voglio spogliarmi di qualunque appartenenza di schieramento e chiederei ai Consiglieri di fare altrettanto. Il Consiglio appartiene a tutto l’ebraismo italiano, la Giunta lavora per tutto l’ebraismo italiano. Lavoriamo per la concordia interna, perché tutti ne avvertiamo il bisogno. Solo un atteggiamento unitario – spiega – può infatti consentire al mondo ebraico italiano di affrontare le sfide del contemporaneo, in direzione di un nuovo patto civile capace di coniugare identità, dialogo e confronto”.
Presidente Gattegna, in questi ultimi anni si è parlato spesso della necessità, per l’ebraismo italiano, di superare un atteggiamento di chiusura e di aprirsi alla società. Su quali basi?
Dobbiamo prendere coscienza del fatto che negli ultimi cinquant’anni l’ebraismo mondiale è entrato in una nuova era, si è profondamente trasformato e non può più applicare gli stessi schemi di ragionamento e le stesse categorie del passato.
Le condizioni delle comunità ebraiche si sono evolute verso una maggiore libertà di vita, di espressione e di organizzazione così da rendere superate, inutili e forse persino dannose tutte quelle forme di autodifesa e di ripiegamento in se stesse che da secoli erano state costrette ad adottare. Certo sopravvivono ancora nel mondo molte forme di antisemitismo ma quasi tutte le comunità hanno abbandonato i paesi retti da regimi totalitari dov’erano assenti garanzie di tutela dei diritti.
Cosa comporta questa libertà nel rapporto con il mondo esterno?
È un cambiamento grazie a cui siamo diventati pienamente consapevoli dei nostri diritti trovando la forza e la determinazione per pretenderne il rispetto. Sviluppando disponibilità, prontezza, capacità di comunicare e, finalmente, di rompere la secolare spirale negativa che, partendo dall’isolamento fisico e culturale dei ghetti, creava terreno fertile per preconcetti, pregiudizi, diffidenze, odio, persecuzioni.
Una sorta di rivoluzione copernicana rispetto all’atteggiamento del passato.
I nostri padri e i nostri nonni si sono trovati a vivere in società ostili e educate al disprezzo e sono riusciti a reagire e sopravvivere mantenendo saldi la cultura e i valori ebraici.
Dobbiamo loro il massimo rispetto e ammirazione, ma i tempi sono cambiati. Dalla metà del Novecento abbiamo assistito al crollo delle grandi dittature persecutrici e alla nascita dello Stato d’Israele. Viviamo il periodo di pace più lungo che sia mai toccato in sorte all’Europa occidentale. Siamo davanti a un’era nuova, in cui abbiamo la grande occasione di arrivare a una normalità di rapporti con la società che ci circonda. Saremmo irresponsabili a non coglierla.
Si è modificato anche il rapporto con Israele?
Il nostro legame con Israele è sempre vivo e fortissimo. Ma il nostro modo di viverlo è diverso da quello che avevamo negli anni Cinquanta e Sessanta. Il paese è profondamente cambiato: lo Stato si è consolidato e ha le capacità e i mezzi per influire sugli scenari internazionali, l’economia cresce a ritmi un tempo impensabili e la capacità d’innovazione è straordinaria. Non è più quel paese che un tempo aveva necessità, per sopravvivere, del nostro aiuto. E al tempo stesso è cambiato il concetto di Diaspora.
In quale direzione?
La distanza e la differenza tra Israele e Diaspora si sono attenuate. E le esperienze di movimento, di emigrazione, di diaspora, sono divenute esperienze largamente diffuse: non sono più vissute in modo necessariamente drammatico ma in molti casi come sinonimi di mobilità, di modernità, di capacità di aggiornamento culturale. Se la diaspora è cercata e desiderata, allora non esiste più quella Diaspora che gli ebrei hanno vissuto per secoli. Ma ci riguarda invece da vicino una nuova idea di diaspora come condizione normale e non traumatica.
La prospettiva cambia del tutto se la speranza di essere “l’anno prossimo a Gerusalemme” viene diretta verso una città simbolo, ideale, mitica, che ognuno può immaginare diversa, seguendo la fantasia, o verso una località reale, concreta e facilmente raggiungibile in poche ore.
Quali sono le sollecitazioni che oggi in Italia arrivano al mondo ebraico?
La società mostra interesse nei confronti della nostra cultura, delle nostre tradizioni e della nostra religione. Da molte parti ci vengono forti segnali d’invito a partecipare e confrontarci. Chiedono il nostro contributo ed è una richiesta di apertura e condivisione alla quale non è possibile né opportuno sottrarci.
Una richiesta per molti versi impegnativa.
Senz’altro, perché significa avere un’adeguata conoscenza di noi stessi e una buona preparazione. In questo senso è necessario aprire una riflessione comune con i rabbini, il cui apporto è indispensabile. Sarebbe infatti sterile parlare di ebraismo senza i nostri Maestri con i quali dobbiamo riuscire a costruire nuove intese portando alla loro attenzione, con rispetto e intensità, quelli che sono oggi i problemi degli ebrei italiani.
In che misura il quadro dell’ebraismo italiano è destinato a essere modificato dallo Statuto da poco approvato?
Frutto di quattro anni di lavoro, lo Statuto apre una nuova fase che vedrà la partecipazione diretta delle Comunità a livello nazionale. I presidenti potranno infatti partecipare al parlamentino e far sentire la loro voce più volte l’anno. Ciò porterà con sé un notevole impegno di lavoro. Ma la riuscita di questa riforma ci consentirà un risultato di grande importanza, quello di rivisitare il vecchio modello conciliando l’autonomia delle singole Comunità con il livello nazionale.
Sembra un’equazione impossibile.
Niente affatto. Si tratta di superare l’assetto precedente, che valorizzava l’autonomia comunitaria relegando in secondo piano il quadro più ampio. In un contesto sempre più globale non possiamo continuare a ragionare secondo logiche di campanile, pena la scomparsa dell’ebraismo italiano dagli scenari internazionali. Vanno quindi preservate le specificità e le autonomie di cui, in nome di un’antica e gloriosa storia, le nostre Comunità sono giustamente gelose. A questo scopo dobbiamo salvaguardare il pluralismo attraverso il decentramento. Adottando però una gestione collegiale delle questioni più importanti e presentandoci al Paese e al mondo non più in modo frammentario ma in una dimensione nazionale.
Il terreno su cui la necessità di ragionare in questa dimensione più ampia e di dialogare con la società s’incontrano e si intrecciano è quello dell’informazione. Un tema cui il recente Congresso ha dedicato passaggi di grande importanza.
Il lavoro svolto in questi quattro anni sull’informazione e sulla comunicazione ha portato con sé una vera rivoluzione. Oggi proponiamo una rassegna stampa che ogni anno raccoglie circa centomila schede; il notiziario quotidiano l’Unione informa che raggiunge regolarmente quasi 5 mila abbonati; il portale dell’ebraismo italiano Moked che dalla nascita ha richiamato oltre 200 mila visitatori unici; il mensile Pagine Ebraiche che ha una diffusione di 30 mila copie e nel suo primo anno di vita ha conquistato una notevole visibilità e un giornale dedicato ai più piccoli, DafDaf, che rappresenta un punto di riferimento per le famiglia e per quanti sono impegnati nell’educazione. Va inoltre segnalata l’esperienza dei praticanti: cinque giovani provenienti dalle Comunità ebraiche che hanno avuto modo di sperimentarsi nel mondo giornalistico e di acquisire una preparazione professionale che a breve li porterà a sostenere l’esame di stato.
Tra pubblicazioni online e cartacee è una grande mole d’informazioni.
Siamo davanti a prodotti che ci hanno consentito al tempo stesso di aprire un fruttuoso confronto con la società e di modificare nel profondo i nostri comportamenti radicandoli ai dati oggettivi e ai fatti. Nei prossimi mesi lavoreremo a sviluppare e arricchire ulteriormente queste iniziative.

Daniela Gross, Pagine Ebraiche, gennaio 2011

(Renzo Gattegna con l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano)