Colpa collettiva e ferita aperta di un destino comune
In fila con i tedeschi per fare i conti con la storia d’Europa. Mentre si attende all’ingresso dell’esposizione Hitler und die Deutschen, fra imbarazzo, riservatezza e lunghi silenzi, non è difficile scambiare poche parole con gli altri visitatori. L’uomo che sta dietro di me ha un atteggiamento ancora giovanile nonostante i capelli bianchi. Distinto, amichevole, tenta di fare conoscenza e chiede educatamente cosa va cercando un giornalista italiano proprio lì. Dopo poche parole, si fa portavoce di una generazione tedesca che fu travolta nella prima gioventù dalla dittatura e dalla guerra. Su quel confine ambiguo fra il complesso della colpa collettiva che ossessiona i tedeschi e l’irresponsabilità di chi allora era appena un adolescente, prosegue un confronto che non ha soluzione. E dal portadocumenti esce una tessera di cartone perfettamente conservata. Sul frontespizio la scritta Hitlerjugend. All’interno la fototessera di un ragazzino spavaldo. Nessuna vanteria, nessuna fierezza. Solo l’ammissione di un passato che non passa e con cui i tedeschi non finiscono mai di fare i conti. Poi, fra gli altri, un giornalista ebreo e un berlinese cui fu rubata l’adolescenza cominciano la visita. Dopo una prima esitazione, l’uomo ha accettato di restare al mio fianco e raccontarmi i suoi ricordi, le sue impressioni, lungo l’itinerario di un’iniziativa che costringe i tedeschi a guardarsi dentro chiamando tutti in prima persona a riflettere sulla tragedia dell’Europa e sulla responsabilità condivisa da tutta una generazione.