Qui Gerusalemme – Rabbini e leader a confronto Le fiamme, il destino, la responsabilità e la ricostruzione
La settimana scorsa si è svolto in Israele l’annuale congresso di rabbini e leader di comunità ebraiche provenienti da 37 paesi di tutto il mondo. Anche dall’Italia hanno partecipato alcuni rabbini (non molti, in verità, rispetto agli anni scorsi). Dopo una prima sessione tenutasi alla Knesset, il gruppo di circa cento persone si è trasferito al Nord, al Kibbutz Lavi, e da qui sono state organizzate due gite di studio, dibattito e riflessione. La prima ha portato i partecipanti al confine con il Libano e alla Yeshiva di Maalot, la cittadina teatro di un sanguinoso attacco terroristico negli anni Settanta contro la scuola elementare che costò la vita a 22 bambini. Nella seconda siamo andati al Har Carmel, dove un mese fa è scoppiato un devastante incendio che ha causato la morte di 44 persone.
Abbiamo visitato la scuola di Yemin Ord, quasi completamente distrutta dall’incendio, e il Moshav Nir Etzion, che invece è stato solo sfiorato.
Rav Ronen Lubitch, il rabbino del moshav, parla a braccio ma in modo sicuro, scegliendo con molta cura le parole con cui affronta un argomento delicato: il compito del rav in un momento di tragedia, con ovvio riferimento all’incendio che ha sfiorato l’insediamento, costretto all’evacuazione i suoi abitanti, ma che “miracolosamente” non lo ha devastato.
Rav Lubitch sostiene che compito del rav è quello di condividere con la propria comunità i sentimenti e anche le azioni pratiche che si rendono necessarie in simili drammatiche circostanze, cercando di lenire il trauma sia a livello individuale che collettivo. E’ importante, sottolinea, che sia la solidarietà a prevalere piuttosto che le tensioni su chi abbia il compito di fare cosa, chi abbia diritto a evacuare e chi no e così via. Particolare premura va dedicata ai bambini, nei quali il solo pensiero di dover lasciare una casa che forse non si ritroverà al ritorno costituisce un trauma.
Discorso simile vale per i più anziani, soprattutto se già colpiti in passato da drammatiche evacuazioni (occorre ricordare che Nir Etzion venne fondata dai pochi superstiti della strage giordana di Kfar Etzion, nel 1948).
La parte più significativa del discorso, si sviluppa attorno al significato religioso dell’incendio. Rav Lubitch premette che accanto alla tragedia vi sono stati elementi di conforto: il fatto che Nir Etzion non sia bruciata, lo spirito cooperativo e solidale dei suoi abitanti e la grande dimostrazione di solidarietà ricevuta dal popolo di Israele. Come ha riferito il Rav, “la sera stessa dell’evacuazione avrei potuto trovare ospitalità a mille famiglie, se ve ne fosse stato bisogno, tanta era l’offerta”, un fatto importante in tempi di post-sionismo. Il Rav ha poi cambiato tono di voce e ha raccontato di aver ricevuto moltissime richieste da giornalisti di ogni settore, in particolare da quello charedì e in misura minore da quello religioso-sionista, di “racconti di miracoli” (in questo, Israele si accomuna strettamente all’Italia).
Ebbene, rav Lubitch ritiene disdicevole un simile approccio: l’incendio è stato una tragedia, in cui hanno perso la vita decine di persone, e passare la lente di ingrandimento sopra eventuali miracoli va nella direzione contraria al corretto atteggiamento religioso che si dovrebbe avere. Di qui si passa ad una considerazione attigua: numerose, purtroppo, sono state le affermazioni di rabbini anche illustri che hanno additato con “certezza” la colpa che ha scatenato una tale sventura, per esempio il mancato rispetto dello shabbath (e per converso, per merito del rispetto dello shabbat Nir Etzion si sarebbe “miracolosamente” salvata). Anche rispetto a ciò rav Lubitch dissente. Attribuire un significato agli eventi è fondamentale, il rav lascia che il pubblico completi da solo la citazione dei Maestri che vede come empietà l’attribuire al caso l’accadimento dei fatti. E’ ben noto infatti che i Maestri invitano, in caso di tragedia singola o collettiva, a indagare le proprie colpe (“yefashfesh be-ma’asav”). Ma appunto: le proprie colpe e non quelle altrui! Inoltre, indagare, scavarsi dentro, non può portare a maturare la certezza di quale sia stata la causa, piuttosto deve dare un orientamento, finalizzato alla teshuvà, al cambiare il proprio comportamento.
Questo è esattamente quanto è prescritto anche a proposito dei digiuni, come codifica il Rambam (Maimonide).
Rav Michael Ascoli, Haifa