Aharon Cohen…
Quando si scriverà la storia degli ebrei italiani del dopoguerra, un’attenzione particolare dovrà essere dedicata al ruolo degli shelichim, gli inviati da Israele che hanno messo su e sostenuto dalla fine degli anni 50 i movimenti giovanili. Sono stati ragazzi e ragazze che venivano catapultati in Diaspora dopo il servizio militare, carichi soprattutto del loro entusiasmo. Eppure il loro lavoro è stato fondamentale nel creare nuove sensibilità, suscitare un risveglio, promuovere la ‘alyà ma anche formare una nuova classe dirigente. Scrivo questa nota oggi perché uno dei primi, e forse insuperato, di questo gruppo, Aharon Cohen, ci ha lasciato la sera di Giovedì scorso, a 76 anni. La notizia è già stata data ieri su questa testata, ma non ci si può certo fermare a un solo ricordo. Di famiglia yemenita, fratello della più nota Gheulla, ma non allineato con le sue posizioni, approdò in Italia nel 1957 e vi fondò il movimento dei Benè Akiva. Rimase per sempre legato all’Italia, sposando una milanese, e mentre in Israele svolgeva funzioni di insegnante e preside, negli anni più recenti tornò ripetutamente in Italia per brevi periodi, esercitando, tra l’altro, l’originale funzione di rabbino “estivo” sostitutivo; l’hanno conosciuto tutti a Torino, Trieste, Bologna, Pisa e in tante altre comunità. Il debito di gratitudine dell’ebraismo italiano nei suoi confronti è molto alto.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma