Mediterraneo, futuro e destino

Ciò che sta accadendo in Tunisia mi pare molto impressionante. Il Medioriente e il Maghreb, aree geograficamente molto prossime, sono attraversati da tensioni profonde e potenzialmente esplosive. Le coste tunisine distano poche decine di chilometri dalla Sicilia, sono frequentate da molte migliaia di turisti italiani ogni anno, e hanno rappresentato il volto più tranquillo del mondo islamico. Certo, tutti conoscevano il prezzo di questa stabilità: repressione, controllo poliziesco, democrazia solo apparente. E tuttavia la stabilità di alcuni paesi nordafricani – Marocco, Algeria, Tunisia – ci faceva sentire più sicuri.
Oggi scopriamo che l’età media di questi paesi si aggira sui 25 anni, che la gran parte di questi giovani sono disoccupati e teme di rimanerlo, che aver assorbito modelli di vita occidentali e giuste aspirazioni ai diritti può spingere masse di persone nell’Islam integralisti. Questa possibile e pericolosa deriva nasce peraltro da ragioni solo parzialmente ideologiche: il fatto che in quei paesi l’opposizione sia spesso incarnata da movimenti fondamentalisti catalizza tensioni che altrimenti sfocerebbero, come attualmente sfociano, in rivendicazioni di natura sociale e politica.
Di fronte a tutto questo l’Occidente, e in particolare l’Europa, appare incerto. Oscillante tra la spinta istintiva ad appoggiare rivolgimenti democratici e il timore che il ricorso libero agli elettori possa condurre a situazioni pericolose, come accadde in Algeria all’inizio degli anni Novanta con il trionfo elettorale del Fis. Questa afasia nasconde una difficoltà a comprendere un fenomeno di cui l’Europa è anche parzialmente responsabile, con la chiusura sempre più ermetica delle frontiere mediterranee.
È difficile proporre soluzioni: un’apertura indiscriminata del continente non sembra essere una soluzione efficace, poiché aumenterebbe la xenofobia nelle nostre società e condurrebbe inevitabilmente a una compressione dei standard sociale e civile cui siamo giustamente abituati. E però neanche lo status quo può essere ritenuto ragionevole: sperare che passi la rabbia delle giovani generazioni di maghrebini mentre il Mediterraneo si trasforma in un cimitero galleggiante appare una speranza flebile e quantomai incerta.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas