Qui Firenze – Franco Ventura: “Il dovere di ricordare
Consiglio Regionale riunito in seduta solenne per ricordare gli orrori della Shoah. Il Giorno della Memoria ha portato alcuni protagonisti della vita istituzionale toscana a riflettere sull’orrore delle persecuzioni nazifasciste e dei campi di sterminio nella sala consiliare di Palazzo Panciatichi. Tra i relatori, oltre al presidente dell’assemblea toscana Alberto Monaci, al vicesindaco di Firenze Dario Nardella, al presidente della Provincia Andrea Barducci, al governatore della Toscana Enrico Rossi e allo storico Brunello Mantelli, anche il vicepresidente della Comunità ebraica di Firenze Franco Ventura. Di seguito pubblichiamo integralmente il testo del suo intervento in cui si ricorda tra gli altri il dramma di Fiorella Calò, la più giovane vittima fiorentina della Shoah.
“La mattina di Lunedì 24 Gennaio 1944, Luigi Magnasciutti, brigadiere della stazione dei Carabinieri dell’Impruneta si presentò con alcuni militi in una modesta casa in località Il Ferrone. Il brigadiere aveva l’ordine di procedere alla cattura della famiglia di Fernando Calò (venditore ambulante), moglie e figli piccoli compresi. Ma, dopo aver accertato la presenza di altri ebrei “puri”, gli Spizzichino, non esitò ad arrestare tutti i componenti di entrambe le famiglie e a caricarli su un automezzo capiente, alla cui guida si trovava un certo Landucci, guardia comunale del Comune di Impruneta.
Nel pomeriggio i Carabinieri Casci e Magnasciutti procedettero al sequestro, presso la casa in località Il Ferrone, dei beni mobili dell’ebreo Fernando Calò coadiuvati dal segretario capo del Comune di Impruneta. L’oggetto di maggior valore requisito fu una macchina da cucire Singer oltre a “cinque federe, tre lenzuola, due cuscini, tre coperte di lana, una carrozzina per bambini, due secchi per l’acqua, quattordici piatti sia fondi che piani, una insalatiera di terra cotta, una bottiglia d’olio, due asciugamani, una sveglia, quattro lenzuola piccole per lettino …”.
Le due famiglie furono trasferite a Firenze e successivamente a Milano da dove la mattina del 30 Gennaio 1944, dal binario 21 della Stazione, partirono alla volta di Auschwitz dove tutti gli arrestati trovarono la morte.
Si trattò di 8 persone fra le quali i 3 figli di Fernando Calò: Mario di anni 6, Sara di anni 3, Fiorella di mesi 4.
Fiorella Calò era nata il primo settembre 1943. Risulta deceduta ad Auschwitz il 6 Febbraio 1944.
È stata la più piccola vittima della Shoah della Comunità Ebraica di Firenze.
Il 18 Novembre 1951 quando fu scoperta la lapide nel giardino della Sinagoga di Firenze in ricordo dei nostri fratelli ebrei deportati e caduti, l’oratore ufficiale lesse i nomi dei 23 bambini e si rivolse ai presenti con queste parole:
“Sono i bambini: sono i nostri bambini uccisi. Altre creature della loro età in questi anni sono state ugualmente travolte e straziate dalla guerra. Sono state ugualmente vittime della guerra. Ma nessuna di esse ha trovato, come le nostre, degli uomini che le abbiano guardate in viso e ne abbiano deciso la morte. Che le abbiano guardate in viso ed abbiano eseguito la condanna, come le nostre.”
È stato scritto che il “troppo grande” ci lascia freddi o addirittura indifferenti. Quando ci troviamo davanti ad un evento smisurato diventiamo degli analfabeti emotivi. Sei milioni possono rimanere una cifra mentre se si parla di 10 assassinati qualcosa in noi in qualche maniera riecheggia. Un solo assassinato ci riempie di orrore. L’uccisione di un bambino è insopportabile.
La tragedia di Fiorella Calò ci riempie di orrore. Il racconto è insopportabile.
In Europa un milione e mezzo di bambini come Fiorella sono scomparsi. Un milione e mezzo di singole storie di inaudita barbarie e violenza.
Raccontare la Shoah, un orrore che per dimensioni e natura appare incredibile, inimmaginabile, non può non suscitare reazioni emotive forti.
Ma l’emozione rischia di rimanere un moto dell’anima che può essere cancellato rapidamente se non apre al ragionamento.
È con la formazione del ragionamento che riusciamo a dotarci di strumenti per resistere a qualsiasi forma di barbarie e per lottare contro l’oblio.
In una società multiculturale l’insegnamento della Shoah, dei meccanismi che l’hanno resa possibile, della sua dimensione, della frattura di civiltà che si è determinata nel cuore della civiltà occidentale moderna con i mezzi e le procedure tipiche della civiltà occidentale moderna può rappresentare un antidoto contro l’intolleranza e il razzismo.
Chi è sopravvissuto alla terribile esperienza del lager aveva ed ha il diritto di tacere. Qualcuno non ha taciuto ed è grazie ai loro racconti, alle loro testimonianze, che l’inimmaginabile, è diventato verosimile.
Che l’indicibile ha superato le barriere lessicali, rendendo possibile raccontare di esperimenti su bambini. Di bambini torturati, fucilati, affogati, bruciati vivi, sepolti vivi.
Raccontare la Shoah da parte di chi non l’ha subita, col passare del tempo diventa sempre più un obbligo. Un dovere morale e necessario per non perdere quella memoria che se ne sta andando con i testimoni. Raccontare che la Shoah non fu possibile solo per la follia e la crudeltà di alcuni ma anche e soprattutto per la complicità e l’indifferenza di molti. Anche di molti italiani.
Raccontare e poi riflettere su quali siano gli strumenti che abbiamo per evitare che insorgano nuovi stermini perché, come diceva Primo Levi: è accaduto, quindi può accadere di nuovo. Può accadere e dappertutto.
Quest’anno, come noto, celebriamo i 150 anni dell’Unità di Italia.
È doveroso ricordare il contributo ed il sangue versato da molti ebrei italiani che parteciparono in prima fila alle lotte per l’indipendenza del paese. Per la costruzione dello stato unitario ma anche e soprattutto per la conquista dell’emancipazione. Dell’estensione cioè alla minoranza ebraica della cittadinanza e di pari diritti civili e politici con gli altri cittadini. Di quei diritti che erano loro preclusi dal 1500 quando, con l’obbligo di vivere all’interno dei ghetti, gli ebrei vennero umiliati e privati di libertà fondamentali.
Gli ebrei italiani parteciparono alla Prima Guerra Mondiale, con profondo spirito patriottico, anche con la consapevolezza che tale adesione avrebbe finalmente consacrato il loro processo di integrazione nazionale. Elevatissimo fu il numero dei combattenti ebrei, molti dei quali volontari, nella grande guerra. Una lapide nella nostra Sinagoga ricorda i 27 ebrei fiorentini “caduti per la grandezza della Patria”.
E così per la resistenza al fascismo ed al nazismo.
Ancor prima del 1938 molti ebrei decisero di impegnarsi concretamente nelle attività antifasciste.
Ma anche dopo, nonostante le condizioni in cui erano costretti dalle leggi razziste e dall’occupante tedesco, circa 3.000 ebrei italiani, su una popolazione ebraica di 45.000 persone, presero le armi per combattere nella resistenza. Almeno 100 di loro caddero in combattimento.
Hanno sacrificato la propria vita per conservare la dignità di uomini liberi e per la libertà del proprio paese.
Era ebreo il più giovane partigiano d’Italia, Franco Cesana, stroncato da una mitragliatrice a soli 13 anni.
E come non ricordare il contributo della Brigata Ebraica composta di 5.000 volontari ebrei provenienti dalla Palestina, e da grandi comunità ebraiche polacche e russe, che combatterono anche sul fronte italiano contro i nazi-fascisti contribuendo così alla liberazione del paese.
Alla liberazione di questo paese nel quale gli ebrei vivono da 2.000 anni e nel quale continuano a impegnare le proprie risorse con la tenace speranza in un futuro in cui ci sia sempre chi, narrando e ricordando, sappia suscitare indignazione contro tutte le forme di razzismo e discriminazione e sappia alzare la voce a difesa dei diritti umani universali e inalienabili”.