Qui Roma – La parola ai sopravvissuti
Sono centinaia le mostre, i convegni, gli incontri e i dibattiti organizzati in queste ultime settimane e che si svolgeranno ancora nei prossimi giorni, per ricordare la Shoah. Diversi fra loro in quanto a ospiti, contenuti e temi trattati ma tutti ugualmente stimolanti e interessanti, trascinati da un unico obiettivo: il ricordo di ciò che fu, per tramandare alle nuove generazioni i valori di chi, pagando di persona, contribuì alla speranza di un mondo migliore.
E ieri sera finalmente la parola è stata data a loro, ai sopravvissuti ebrei dei campi di sterminio nazisti. A coloro che in prima persona hanno subito le leggi razziste, le deportazioni, la fame, le violenze e sono stati privati di ogni diritto.
Il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni, il presidente della Comunità ebraica della Capitale Riccardo Pacifici, la presidente della Consulta della Comunità Elvira Di Cave,il presidente Ucei Renzo Gattegna, il direttore del futuro Museo della Shoah di Roma Marcello Pezzetti, che ne ha anche coordinato gli interventi, assieme alle altre autorità, agli studenti e alle persone comuni, li hanno accolti ieri sera nel Tempio Maggiore di Roma.
E’ stato un momento molto atteso, l’evento culmine del Giorno della Memoria, che la cittadinanza romana partecipando in gran massa all’evento ha dimostrato di saper apprezzare. Un successo ancora maggiore di pubblico rispetto allo scorso anno. L’affluenza è stata difficile, lenta ma il desiderio di entrare nella Sinagoga era tanto e la gente educatamente ha saputo aspettare e affluire in maniera ordinata, rispettando gli uomini della sicurezza.
Fra il pubblico esponenti del mondo della cultura, della politica, ebrei e non ebrei, tutti in rigoroso silenzio ad ascoltare le parole di quelli che sono fra gli ultimi testimoni di quel periodo buio della storia.
Sono stati racconti toccanti, drammatici, ci hanno fatto piangere ma soprattutto riflettere. Ci siamo sentiti vicini, solidali, uniti, centinaia di persone in una sola che ha trasmesso il calore e la solidarietà di chi ha capito che quei momenti devono essere ricordati affinché non si ripetano mai più.
Ognuno a suo modo, ognuno con il suo tremendo bagaglio di ricordi, molti di loro combattuti fino a pochi anni fa sul se fosse giusto raccontare o dimenticare, ma ieri sera erano tutti lì, a parlare con la gente a ricordare con loro e a rispondere alle domande degli studenti.
Nelle loro storie nessun sentimento di odio, rancore, risentimento, richiesta di vendetta, ma solo il racconto sofferto di ciò che fu.
E’ anche per questo che nei giorni scorsi, intervenendo in un convegno dell’associazione Hans Jonas sulla proposta di istituire una legge sul negazionismo il presidente della Comunità, Riccardo Pacifici, aveva replicato all’invito del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, di partecipare “a un gruppo tecnico di lavoro per valutare la scrittura materiale di una norma che affermi il reato di negazionismo”, affermando che “giusto sarebbe far partecipare a questo gruppo di lavoro i sopravvissuti”. Sono loro che hanno subito quelle tremende atrocità e da loro che traiamo un grande insegnamento: aver messo da parte l’odio e il rancore, per lavorare sul futuro della Memoria.
Ma c’è una cosa su cui dovremmo tutti riflettere: al Tempio Maggiore non si è svolta una manifestazione per gli ebrei romani, che vivono quotidianamente e in maniera diretta dai racconti dei propri familiari il ricordo della Shoah, ma per tutta la cittadinanza. Eppure a differenza di tanti altri raduni fuori dall’edificio decine di uomini in divisa dovevano difendere la sicurezza dei partecipanti. Nel giorno del ricordo tutti avrebbero preferito cancellare i simboli di una cautela ancora necessaria per combattere l’odio e l’intolleranza.
Valerio Mieli