Qui Torino – Dal ricordo alla Memoria
“E’ tempo da neve. E’ un tempo di solitudine e malinconia” commenta a denti stretti in piemontese un anziano partigiano mentre tiene saldo fra le mani il proprio gonfalone con il tricolore impresso. Fa freddo e la città è avvolta dal grigiore austero, solenne e malinconicamente luminoso del tempo da neve. A fianco al partigiano scorrono, nel viale centrale del Cimitero Monumentale di Torino, i compagni di Resistenza, i rappresentati della Comunità ebraica torinese, le autorità locali; ciascuno con il proprio gonfalone. E’ il corteo che da anni apre ufficialmente la celebrazione del Giorno della Memoria della città di Torino, ricordando le vittime della Shoah e del nazifascismo.
Ultima tappa del corteo, la lapide dei deportati ebrei torinesi. “Ebrei – afferma il presidente della Comunità di Torino Tullio Levi – che furono traditi dall’Italia; traditi dal Paese per cui diedero la vita, per cui combatterono in prima persona, come testimonia la lapide qui vicino dedicata ai caduti di origine ebraica della Prima Guerra Mondiale. Oggi ricordiamo i nostri deportati come ricordiamo tutte le altre vittime del nazifascismo, dagli zingari ai deportati politici”. Per i fratelli, figli di Israele, caduti per mano degli assassini ad Auschwitz, Majdanek, Treblinka, il vice rabbino Avraham de Wolff intona la preghiera “El male’ rachamim” e, assieme agli ebrei presenti, il Kaddish.
Prima che il corteo si dissolva e, in parte, si ricomponga alla Sala Rossa del Palazzo Civico di Torino, c’è il tempo di ascoltare la testimonianza di Ferruccio Maruffi, deportato nel 1944 a Mauthausen. In particolare Maruffi ricorda che “nonostante l’abominio, la violenza anche nei lager siamo riusciti a creare una rete di solidarietà, di amicizia. Non siamo stati cancellati e questa è la maggior rivincita contro il nazismo e il fascismo”.
Si sofferma sul legame tra le donne e la Shoah, la storica Anna Bravo durante il suo discorso in Sala Rossa, sede del consiglio comunale torinese. “I discorso sulle donne rappresenta uno sguardo lungo sulla Shoah – riflette la Bravo – racconta le esperienze diverse della guerra, della violenza, del massacro, distinguendole senza separarle. Da esempi di vita, in cui le persone non sono solo vittime sono anche soggetti; soggetti che cercano di migliorare la propria condizione, non importa quale sia il risultato almeno si sforzano di tentare”. Come le donne partigiane che cercano di passare i blocchi dei soldati fascisti, fingendosi ragazzine sciocche e superficiali, per portare viveri o notizie ai compagni resistenti; donne che usano la propria femminilità come arma. “L’eroismo non è solo imbracciare le armi – spiega la storica – possono essere eroici anche gesti apparentemente semplici”. Anche la ricerca di mantenere un barlume di femminilità nel lager è un gesto eroico. “Avere cura del corpo, per quanto le condizioni della deportazione potessero permettere, era un aspetto tipico delle donne – afferma la Bravo, di cui è uscita recentemente la riedizione del libro Intervista a Primo Levi ex deportato, curata assieme Federico Cereja – conservare la propria femminilità era un modo per lanciare un ponte con la realtà, un momento di forza e fatica, l’espressione della propria dignità ancora viva. Alcune donne crearono rudimentali rossetti con pasta per le macchine e polvere di mattoni, altre utilizzavano la poca margarina per inumidirsi le labbra o curare le guance bruciate dal freddo. Gesti che guardati da fuori possono apparire frivoli ma che in realtà celano un grande insegnamento di dignità, di eroismo”.
Corre, invece, tra Primo Levi, Bauman e Yerushalmi la riflessione del presidente Tullio Levi, preoccupato per il riemergere di un clima di tensione e discriminazione in particolare nel nostro Paese. “Il pregiudizio nei confronti di chi è o è ritenuto straniero o “diverso” – spiega Levi – non solo crea le premesse per la sua emarginazione ma può portare a scorgere in lui il “nemico” da combattere e da distruggere. La storia del popolo ebraico e della sua presenza in Europa, caratterizzata da secoli di antisemitismo di matrice cristiana culminati con la Shoah, non solo risulta essere l’esempio più calzante per l’asserzione di Primo Levi (riferimento alla prefazione della prima edizione di Se questo è un uomo, in cui lo scrittore spiega il rischio che il concetto “ogni straniero è nemico” culmini con la cancellazione, con il Lager), ma costituisce un monito della massima attualità e coerenza nei confronti della nostra società che si trova a dover affrontare il fenomeno dell’immigrazione di massa dai paesi disagiati”. Il presidente Levi poi ammonisce, attraverso Bauman, da considerare la Shoah come il prodotto della follia nazista. Tutt’altro, la Shoah è il risultato della modernità e della sua razionalità spinta all’eccesso.
Ultima conclusione di Levi si lega alla frase di Yerushalmi, in Zachor: “Il vero pericolo non è che si possa dimenticare quel che è accaduto nel passato, ma che si trascuri un aspetto molto più importante, ovvero il modo in cui quegli eventi si sono verificati”. Per Levi il messaggio di Yerushalmi si traduce nella differenza fra ricordo e memoria.“Il ricordo è rivolto al passato –sostiene il presidente della Comunità torinese – la memoria serve a proiettarsi nel presente e ancor più verso il futuro ed è essenziale per poterlo correttamente affrontare
Daniel Reichel