Che aria tira in Egitto

La preoccupazione degli Israeliani per le sommosse che stanno devastando l’Egittto e per il regime di Hosni Mubarak che traballa, sono esemplificate dal calo del due per cento della borsa valori di Tel Aviv.
Ma le preoccupazioni vere vanno molto al di là delle azioni in borsa e riguardano il problema più grave: resisterà la pace con l’Egitto agli scossoni di migliaia di dimostranti inferociti? Resterà Mubarak al potere, almeno per qualche mese, per assicurare una transizione normale al generale Omar Suleiman nominato sul campo vicepresidente?
E’ ormai evidente che il progetto di Mubarak di incoronare suo figlio Gamal come suo successore, è naufragato a piazza Tahrir al Cairo. E’ anche chiaro che l’appoggio degli Stati Uniti, se guidati dal presidente Barak Obama, sparisce proprio nel momento in cui è più necessario. Obama infatti non solo ha preso le distanze da Mubarak, ma richiede che questi faccia seguire fatti concreti alle sue parole riguardanti le riforme. Mi sembra evidente che Obama non riesca a capire il Medio Oriente anche se è corso al Cairo l’anno scorso per dire ai musulmani “sono uno di voi”. Voler applicare ad uno stato mediorientale gli stessi parametri di regime democratico che si applicano oggi all’interno degli Stati Uniti, mi sembra un esercizio futile, anche se l’uso dei telefoni cellulari e le reti come Facebook, riscuotano successo nel mondo arabo. Da notarsi anche il ruolo della stazione televisiva Al Jazeera che negli ultimi mesi ha lanciato la rivolta tunisina, ha appoggiato gli Hezbollah in Libano, ha denigrato il leader palestinese Abu Mazen ed ha sostenuto i dimostranti in Egitto. Una cosa è certa: il tempo stringe. Se si devono fare concessioni per ottenere l’accordo dei Palestinesi, meglio vale farle subito poiché “del doman non c’è certezza”.

Sergio Minerbi, diplomatico