L’Egitto e noi

Due settimane fa non ci avremmo creduto. Neppure dopo i moti tunisini e algerini avremmo pensato che Hosni Mubarak, da trent’anni alla guida dell’Egitto, potesse rivelarsi così fragile. Non sappiamo cosa accadrà nelle prossime ore. Apparentemente Stati Uniti, Europa, persino l’esercito, hanno scaricato il Faraone, preparandosi a favorire una transizione ordinata alla democrazia. Solo Israele ha esplicitamente difeso Mubarak, ricordando il rischio di una deriva islamista e «iraniana». Le preoccupazioni israeliane sono, a mio parere, del tutto fondate, poiché era proprio Mubarak a garantire la stabilità del Medioriente.
Come già dicevamo un paio di settimane fa, di fronte a questi avvenimenti l’Occidente si scopre in grande difficoltà. Non si sa bene cosa augurarsi. Se da una parte, certamente, è difficile non provare una vicinanza istintiva alla protesta popolare, in larga misura non ideologizzata, che reclama Diritti, libertà e partecipazione, dall’altra non può sfuggire quanto simili circostanze abbiano originato in passato regimi ancora più autoritari e oscurantisti. La paura che le prime elezioni libere d’Egitto vengano vinte dai Fratelli musulmani spaventa certamente gli israeliani, ma anche tutti noi.
Come hanno acutamente sottolineato alcuni osservatori, se non vogliamo sostenere che l’Islam sia incompatibile con la democrazia occorre ricordare – accanto alla rivoluzione khomeinista – la transizione democratica dell’Indonesia, il più grande paese musulmano del mondo.
Insomma, come uomini liberi non possiamo evitare di augurarci che le masse di egiziani ottengano soddifazione alle loro legittime rivendicazioni. E tuttavia mi pare significativo che Emma Bonino, grande conoscitrice dell’Egitto oltre che infaticabile paladina dei Diritti umani, si sia espressa in questi termini: l’Occidente non deve proteggere regimi autoritari ma appoggiare aspirazioni giuste; le elezioni sono però l’ultimo passaggio di una transizione democratica: di disastri provocati esportando la democrazia con missili e urne elettorali ne abbiamo già visti abbastanza.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas