Qui Firenze – Bartali, una nuova testimonianza
Campione sui pedali e nella vita, Gino Bartali fu corriere clandestino di una rete della Delasem che mise in salvo centinaia di ebrei dai nazifascisti. Recentemente è emerso che andò perfino oltre, nascondendo insieme a suo cugino Armandino Sizzi, come racconta l’ebreo di origine fiumana Giorgio Goldenberg su Pagine Ebraiche di gennaio, una famiglia di perseguitati (Giorgio, la sorella e i genitori) in uno stabile di sua proprietà in via del Bandino a Firenze. Sono arrivate nelle ultime ore, dalla viva voce di Aurelio Klein, cugino primo di Goldenberg, conferme e inediti dettagli su questa straordinaria vicenda di umana solidarietà. Elementi che si accavallano agli altri frammenti di eroismo raccolti nei mesi passati e che dovrebbero portare a piantare presto un albero nel Giardino dei Giusti dello Yad Vashem in onore del grande ciclista toscano, obiettivo a cui lavorano da tempo il giornale dell’ebraismo italiano e la psicologa Sara Funaro. Nel salotto fiorentino di Aurelio, distinto novantenne raffinato nei modi e nella parlata, vanno in scena ricordi commossi e rievocazioni di quel drammatico periodo di storia italiana. Chiamato in causa da Giorgio nel corso della trasmissione La vita in diretta del 27 gennaio, Aurelio apre il forziere del passato e racconta: “Anch’io sono stato salvato da Bartali”. Per due mesi infatti Aurelio divide con la famiglia Goldenberg l’appartamento citato nella testimonianza di suo cugino. Il periodo a cui Klein fa riferimento va dal novembre del 1943 al gennaio del 1944: due mesi di angoscia e di speranza, due mesi di con l’incubo costante dell’arresto mentre in tutta Italia si susseguono retate e delazioni che portano migliaia di ebrei nei campi di sterminio. All’appello in quei giorni manca soltanto Giorgio, temporaneamente ospitato nel convento delle suore di Santa Marta a Settignano dove resta fino a inizio primavera. “Dormivamo tutti e quattro nel letto matrimoniale”, dice Aurelio.
Aurelio Klein arriva a Firenze da Fiume dove scampa miracolosamente alle retate dei fascisti che sono invece fatali ai genitori e al fratello. Il suo punto di riferimento in Toscana sono i Goldenberg, legati da un solido rapporto di amicizia con Bartali e Sizzi. “Intrapresi il viaggio – spiega Aurelio – perché mi era stato detto che a Firenze sarebbe stato più facile ottenere documenti con false generalità per sconfinare in Svizzera”. Il documento gli viene consegnato nel gennaio del 1944 dagli uomini del Comitato di Liberazione. Ottenuta la nuova identità, Aurelio prende un treno dalla stazione di Santa Maria Novella e si dirige verso nord per oltrepassare il confine insieme a un gruppo di contrabbandieri di sigarette che incontra nei pressi del Lago Maggiore. Una volta entrato in territorio elvetico, ripara prima a Sion e poi a Losanna dove trova lavoro come orologiaio. Nei mesi di clandestinità fiorentina, scanditi da momenti di terrore e ansia (“Trascorrevo il mio tempo nell’attesa, spesso stavo seduto o sdraiato sul divano senza far niente”), Aurelio e la famiglia Goldenberg sono protagonisti di un episodio di grande tensione che si risolve senza conseguenze negative. “Un giorno – racconta Aurelio – un uomo viene ad avvisarci che i fascisti sono in zona così siamo costretti a scappare avventurosamente per i tetti di Firenze. Nell’occasione vengo mandato a dormire nella casa di un importante membro del Partito d’Azione sul viale Michelangiolo. Ci resto una notte, rientrato il pericolo torno in via del Bandino fino al giorno della partenza per la Svizzera”. Al pari di Goldenberg, che ha depositato la propria testimonianza nelle mani dei funzionari dello Yad Vashem in data 6 gennaio, anche Aurelio ha voluto certificare l’eroismo di Bartali con una deposizione scritta in cui gli riconosce il merito di essersi prodigato per la sua salvezza. Nelle scorse ore il rabbino capo di Firenze Joseph Levi, accompagnato da Nardo Bonomi, si è recato da Aurelio per sottoscrivere la testimonianza e dare così il via alla procedura di invio a Gerusalemme di un nuovo e prezioso tassello di Memoria sul campionissimo di Ponte a Ema.
Adam Smulevich