furto…
Come per una strana coincidenza il furto di oggetti sacri nel Bet Ha-Keneset Maggiore di Milano è avvenuto alla vigilia dello Shabbàt nel quale si apre quella serie di letture bibliche relative agli arredi e ai paramenti sacri del Tabernacolo, il Tempio mobile nel deserto. La Torah ci dice espressamente che questi arredi sono stati prescritti per accrescere onore e splendore. Se è vero che nella tradizione ebraica il modo di vestire è indice di dignità è altrettanto vero che talvolta si indossano particolari indumenti per nascondere progetti criminosi. Nella lingua ebraica, non a caso, la parola “beghed”, abito, è connessa alla radice che indica il tradimento. Non sempre quindi “l’abito fa il monaco”. E per abito non si intende soltanto l’indumento con il quale copriamo il corpo ma anche quel “costume” di cui spesso ammantiamo o “copriamo” un’interiorità in assoluta distonia con ciò che si tende a far vedere. I ladri travestiti da chasidim ci hanno talmente ingannato da essersi lasciati alle spalle, ai piedi dell’armadio che contiene i Rotoli della Torah, i propri calzini sporchi. Per quanto possa far male, dobbiamo dircelo chiaramente: rischiamo di scoprire che spesso anche noi siamo vittime di pericolosi luoghi comuni. Un cappotto lungo e un cappello di feltro nero non sono abbastanza per conquistare immeritatamente la fiducia altrui. Guardiamo meglio i calzini, piuttosto che lasciarci incantare dai cappelli, perché giudicare frettolosamente dalle apparenze equivale ad assumersi rischi che non possiamo permetterci.
Roberto Della Rocca, rabbino