Davar acher – La democrazia delle nazioni

Come i lettori del Portale dell’ebraismo italiano hanno potuto leggere, ho partecipato alla presentazione di un libro scritto dal senatore Luigi Compagna, intitolato “Theodor Herzl – Il Mazzini di Israele”. Ne voglio riparlare qui non solo perché questa nuova biografia del fondatore del sionismo è molto piacevole da leggere e interessante e dunque merita ancora una segnalazione ai nostri lettori, ma anche perché vi viene messo a fuoco un problema che è centrale per la storia contemporanea dell’ebraismo e per il dibattito politico attuale, quello della legittimità del sionismo come movimento nazionale. Questa legittimità è contestata non solo dalla vergognosa delibera delle assemblea delle nazioni unite che nel ’72 equiparò il sionismo a “una forma di razzismo”, ma anche da schegge impazzite del mondo ebraico. A “destra” fanno molto rumore i hassidim di Satmar e i Naturei Karta (su cui è appena uscito un libro decisamente troppo simpatetico di Furio Biagini); a “sinistra” si proclamano post-sionisti (che è un eufemismo per dire antisionisti) i cosiddetti “nuovi storici” e buona parte del mondo intellettuale che fa riferimento a Haaretz. Il libro di riferimento di questa linea è quell'”Invenzione del popolo ebraico” di Schlomo Sand, appena tradotto in italiano, che è caratterizzato da una gran massa di errori, equivoci, omissioni, forzature ideologiche, ma la cui tesi della non continuità del popolo ebraico attuale con i bené Israel delle Scritture fa tanto comodo ai nemici di Israele da essere ormai ripresa sistematicamente dagli islamisti. A questo tema si aggiunge una polemica abbastanza generale oggi contro l’idea di nazione portata dai sostenitori del multiculturalismo, per cui l’esito naturale del nazionalismo e del patriottismo ottocentesco sarebbero i fascismi del secolo scorso e la sola via per non ricascare negli orrori totalitari sarebbe il rifiuto teorico delle nazioni e il loro annullamento pratico da realizzarsi con le istituzioni sovrannazionali e favorendo un’immigrazione capace di diluire i caratteri nazionali dei vari stati.
Il libro di Compagna porta un contributo illuminante su questi temi proponendo con forti argomenti storici e teorici la continuità del sionismo con la teorizzazione mazziniana. Ora la tradizione mazziniana di pensiero e di pratica politica mostra con chiarezza che è possibile un’idea democratica di nazione, anzi che il solo modo di realizzare un ordine internazionale liberale è la democrazia della nazioni. Inoltre essa sottolinea il carattere volontaristico e non naturalistico delle nazioni. Per sentirsi popolo non si tratta affatto di riconoscere il primato di “terra e sangue”, ma di scegliere l’unità di certi tratti culturali sopra le differenze. Se è vero, come disse Massimo d’Azeglio in una celebre battuta di centocinquant’anni fa che “fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani” e che questa “invenzione del popolo italiano”, ancora forse da compiere, fu un programma non scontato, per certi versi artificiale, è stato vero anche che la rifusione degli ebrei in una laica “nazione ebraica” che iniziò poco dopo è stata un’idea altrettanto ambiziosa e innovativa, non importa quanto fondata su un’origine etnica comune.
Ma entrambe avevano fortissime ragioni, quella ebraica ancora ben di più di quella italiana, basata com’era su un patrimonio religioso e culturale, su una pratica religiosa differenziata ma comune, su un destino storico condiviso da sempre, su una solidarietà ininterrotta. In entrambi i casi, quello italiano e quello ebraico, la scelta di costituirsi in nazione fu iniziativa di pochi che si presero la responsabilità per molti; fu un progetto realizzato in gara contro il tempo che ebbe alla fine un successo inaspettato contro grandissimi ostacoli. Hertzl e Cavour (più che Mazzini) seppero imporre alla comunità internazionale le “invenzioni” che intuivano, e le salvarono dai rischi che correvano (solo la dispersione e l’oppressione straniera per l’Italia, una Shoah infinitamente più grave per il popolo ebraico). Entrambe le costruzioni ebbero un successo inverosimile a priori, entrambe oggi sono solide anche se contestate da estremisti fra coloro stessi che ne hanno goduto il frutto. Israele, a differenza dell’Italia è minacciata da nemici esterni che continuano la storia millenaria dell’antisemitismo – ma questa è un’altra storia.
Quel che conta, e che vale la pena di imparare dal libro di Compagna, è che la libertà vera dell’individuo si esercita nell’ambito di uno stato nazionale, cioè di un progetto condiviso, di una forma di vita che la maggioranza dei cittadini senta come propria. E di una comunità delle nazioni, il sogno mazziniano, in cui ognuna è libera come sono liberi gli individui nello stato democratico. Quel regime multiculturale che molti “progressisti” oggi desiderano somiglia terribilmente a quegli imperi multinazionali che crollarono all’inizio del Novecento (Austria-Ungheria, Turchia, Russia), provocando guerre, rivoluzioni, genocidi, lutti infiniti. Non è affatto vero, come vogliono in molti, che la volontà di Israele di essere “stato ebraico” sia arretrata o “coloniale”. Proprio questo carattere nazionale è la prima garanzia della sua libertà e – se adeguatamente e sinceramente riconosciuto – può essere la base della pace e della libertà dei suoi vicini.

Ugo Volli