Qui Livorno – Le radici della musica ebraica
Cos’è la musica ebraica? Cosa rappresenta la musica nel mondo ebraico? Domande intriganti su cui si interrogano studiosi e amatori e a cui ha provato a dare una risposta Enrico Fink, popolare musicista autore e interprete teatrale, nel corso di un incontro svoltosi ieri a Livorno e organizzato in partnership dalla Comunità ebraica labronica e dal Dipartimento Educazione e Cultura dell’UCEI. Dal canto sinagogale degli ebrei italiani al klezmer, dalle ballate giudaico-spagnole ai suoni di Israele, dalle avanguardie del jazz newyorkese alle opere di Schoenberg, Fink ha tracciato una panoramica d’insieme e condotto il pubblico in un viaggio musicale lungo millenni. Intervallato da momenti di degustazione e scambio di opinioni, l’incontro si è svolto sulla falsariga di una iniziativa analoga organizzata a Siena in occasione della Giornata europea della cultura ebraica.
“Troppi generi musicali diversi rientrano in questa categoria – ha spiegato Fink, prospettando da subito la difficoltà nel rispondere ai quesiti oggetto dell’incontro – musica tradizionale, composizioni originali, rielaborazioni semplici, modi di suonare, stili”. “Ma dal canto sinagogale degli ebrei italiani fino al klezmer Est europeo, dalle ballate giudaico-spagnole alle danze israeliane del Novecento, dall’avanguardia jazzistica newyorkese al Mosè e Aronne di Schoenberg, c’è forse una caratteristica che permetta di determinare l’appartenenza o meno di un dato disco in questo ampio scaffale?”, si è domandato ancora il musicista Enrico Fink.
Tra mille generi e mille contaminazioni, rimane difficile comprendere quel filo rosso o quella radice possibile che ci permette di parlare di musica ebraica come genere a se stante ben riconoscibile.
Fink citando il rabbino capo del Regno Unito, Jonathan Sacks, ha tentanto di fornire una prima risposta: “La musica ebraica è quella musica composta da ebrei in quanto ebrei per ebrei”. Ma esiste qualcosa di intrinsecamente riconoscibile in questa musica? E ha spiegato, dopo un lungo palleggio con il pubblico che “a differenza della musica occidentale, basata sulla metrica, la musica ebraica, pur diversa da regione in regione, di tempo in tempo, non è altro che lo sviluppo differenziato dei modi in cui si legge il testo della Torah, ovvero i Teamim, che danno “gusto”, come evoca la parola stessa, al testo e ne donano la cadenza, la sintassi e il senso vero e proprio. Essa è dunque una musica strettamente legata al Testo e alla sua lettura, alla parola, alla sua interpretazione e narrazione”.
Questa rimane sicuramente una delle conclusioni più suggestive. Ma con Enrico Fink il pubblico ha potuto riflettere anche sull’altra faccia della medaglia, ovvero su cosa rappresenti la musica nel mondo ebraico: “L’indubbia predilezione ebraica per l’arte musicale è qualcosa di contingente, dovuto alla peculiare storia del popolo ebraico, o trova in qualche modo giustificazione nel pensiero, nelle radici profonde della cultura ebraica?” Anche in questo caso la risposta ha messo in evidenza un’altra caratteristica della tradizione ebraica: “Come hanno messo in luce molti musicologi, gli ebrei, diversamente dai popoli pagani a loro contemporanei, percepiscono la divinità anzitutto attraverso il suono, la voce. Il senso prediletto per accedere al divino sin dai primi capitoli della Torah, non è il tatto o la vista ma è proprio l’ascolto”.
Ascolto, suono, voce, parola, senso, musica. Se tutte queste “cose” sono tra loro necessariamente legate, come mai, ha chiesto Fink in modo provocatorio a conclusione dell’incontro “il Niggun, composizione senza parole, è una musica così tipicamente ebraica? Lo scopriremo nella prossima puntata”…
Ilana Bahbout